Colpo al cuore |
E' la romantica e sognante Parigi e non l'amata e dinamica New York la miccia per far ripartire una carriera. Imitando e citando, apparentemente, i maestri di un passato demodè, Allen fa il miracolo e dopo una lunghissima serie di pellicole smidollate, ecco che vien fuori, quasi magicamente, il film del rilancio e della maturità perfetta. Non tanto la psicanalisi, ma l'Arte. Non tanto il rimosso individuale, ma la "visione" esteriore, il "sogno" ad occhi aperti, la realtà parallela. "Midnight in Paris" è un'improvvisa illuminazione, un varco impercettibile, una madeleine proustiana che sembra non avere pretese di scientificità ma rivelarsi possibilità di "apertura" verso il sepolto, dimenticato, eclissato, della gloriosa ed esplosiva arte contemporanea, di cui la capitale francese è stata centro propulsore dinamico ed effervescente. Nell'omaggio, non manca un tocco di cinismo polemico. Così la ricerca dell'età aurea dell'espressione artistica si rivela un paradosso e ad ogni epoca corrisponde l'esaltazione di un bagliore culturale e vitale precedente. Più che verso una "morte dell'arte" in quanto tale, la deriva è la svalutazione dell'arte, della sua forza presente e della sua specificità storica. Il passato è un déjà vu per sognatori, un residuo che diventa essenza primaria di ogni cosa attuale, ma non esiste se non in virtù del peso che gli attribuiamo. Più che relativismo, è un monito. E, in fin dei conti, lo stesso anti-eroe protagonista, lo scrittore Gil (Owen Wilson) riesce a comprendere la specificità della questione e a trasformare il presente reale in un sogno piuttosto che rifugiarsi in un passato labilissimo e incerto, che sia glorioso e immortale, ma ormai museificato e fuori tempo massimo. Allen omaggia, in modo assolutamente inedito e con efficacia "rivitalizzante" (è il caso di dirlo), l'arte novecentesca ma spinge a porsi il problema di ripendere il nesso con ciò che esiste da svegli, non con le elocubrazioni fantastiche dei vegliardi, dei passatisti, dei critici. E il suo è un vero "colpo al cuore".
Non è stata la Barcellona sensuale e libertina a dare linfa ad un Allen spento, nè tantomeno l'Inghilterra, ingrigita ben presto dalla tradizione asettica del luogo. Non è stato fruttuoso il ritorno (delirante e metacinematografico) alla New York, musa di un tempo, ora non più attuale, e c'è il sospetto che neanche la variante "boccaccesca" (almeno nel titolo) dell'incursione italiana possa essere un toccasana per una salute malferma. C'è voluta Parigi a risvegliare Allen. L'ha cullato, come una madre, l'ha incantato, come un'amante, l'ha indignato, come una vecchia suocera. Così' "Midnight in Paris" si è trasformato in un film principale della carriera, un punto nevralgico della speculazione del regista. E il fatto che arrivi in età avanzata non fa altro che accrescere lo spessore riflessivo, l'acutezza dell'interpretazione. Parigi. Molti diranno che è la città dell'amore. Invece Allen sa bene che la specificità della capitale francese è la malinconia, che con l'amore in fieri non ha molto a che fare. E la malinconia nasce dal "tempo passato" e "mitizzato", dal "ricordo", dalla "mancanza". Parigi brulica letteralmente d'Arte. Ma non è un'Arte lontana, come quella classica greco-romana, nè un'arte astratta come quella Americana. Pensiamo a Parigi e il primo imput è la famosa Torre Eiffell. Siamo in epoca di Esposizioni Universali, albori della vittoria della tecnica, della società dei consumi. Ed ecco che la tenuta di campagna di Giverny appare come sfondo della prima inquadratura narrativa dopo una panoramica lunghissima che echeggia la commedia classica di Wilder (penso all'incipit di "Arianna"). Monet apre la strada alle arti figurative. Da lì in poi la re-incarnazione nei medesimi corpi di insigni rappresentanti di ogni espressione artistica è un passo, e infatti la "visione" si manifesta nella quotidianità di un viaggio "romance" solo in apparenza che è invece un viaggio alla Carroll, in un "Paese delle Meraviglie" che appare di notte e scompare di giorno. Unico intermedium un'auto che si trasforma in carrozza, come in una Cenerentola moderna. Ed eccoli Hemingway, i coniugi Fitzgerald, Gertude Stein a "criticare" Picasso, Dalì a lodare ogni qualsivoglia quisquilia con fare altisonante (e un grande Adrien Brody a dar man forte al suo eccentrico protagonismo), Man Ray e Bunuel in sodalizio amichevole. D'un colpo la modernità scompare, il protagonista torna al "suo" passato, quello che ama, la sua fonte di ispirazione. Ma nel passato, c'è nostalgia di un passato ancora più lontano, magari come per l'Adriana di Marion Cotillard, la Belle Époque, quando la guerra mondiale era fuori dalla conoscenza dei "non belligeranti" per vocazione utilitaristica più che per credo. Ed ecco che compare, con le sue affiches, Toulouse-Lautrec, il Moulin-Rouge. Il senso è chiaro e, nell'omaggio, c'è anche la critica ad un presente cristallizzato sul passato che non sa creare qualcosa di specifico, non sa che ripecorre la strada del vintage e della celebrazione. Nel rimando al passato non c'è solo l'occultamento del presente ma soprattutto l'annientamento del futuro. E Allen sembra, dopo anni di introspezioni retroattive, voler pensare ad una felicità terrena, reale, tangibile per il suo alter-ego Gil e per i suoi spettatori. L'analisi, lo studio del rimosso, lascia spazio all'immanenza del presente, alla scelta, alla possibilità, alla speranza. E' tutto così ben oleato e perfetto, nell'incontro/scontro delle due dimensioni, che "Midnight in Paris" sembra essere stato partorito dalla mente di un genio neo-creatore. E così è. La lungimiranza di Allen si trasforma in invenzione. E, da un film sulla storia dell'arte (di per sè passatista, come appunto la malinconica Parigi), si arriva ad un'opera modernissima e consolatoria che riempie il cuore e appaga la mente. A Parigi, tutto è possibile. Oltre alla nostalgia, si respira aria di magia, quella magia che ha permesso a Woody Allen di rinascere. Non si sa per quanto, non si sa bene fin dove.
io l'ho trovato un po' superficiale: piacevole ma superficiale
RispondiEliminaper certi versi, capisco la tua impressione...è tutto messo insieme, soprattutto i riferimenti artistici, ma credo che Allen abbia volutamente approssimato il tutto per potenziare il mondo fantastico di ingresso al sogno notturno. L'ha reso eterogeneo, elementare e privo di nessi logici, in quel versante, come è appunto un sogno notturno. E, in questo mondo, ha pure tirato fuori una riflessione compendiaria su una porzione di arte novecentesca che non ha molto in comune in sè, ma è imprescindibile per la rappresentazione della Parigi-feticcio che affascina così tanto molti (me compreso che ne sono attratto a livelli incredibili).
RispondiEliminaCome si chiama il quadro di picasso che compare nel film?
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