Review 2011 - Dancing Dreams - Sui passi di Pina Bausch ("Tanzträume")








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La Danza al Cinema. L'improvvisa e dolorosa dipartita, avvenuta nel 2009, di Pina Bausch, indimenticata coreografa per eccellenza del Teatro-Danza, ha acceso l'interesse per la sua figura, resa "popular" grazie all'omaggio devotissimo e ispirato di Pedro Almodovar, che l'ha immortalata nell'intimo capolavoro "Parla con lei". La Berlinale 2010 e 2011 ha proposto due progetti concepiti prima della fine dell'artista, da due diverse prospettive, espressione di una modalità comunicativa atipica ed immediata. Se l'attesa per il documentario in 3D di Win Wenders è alta (la distribuzione italiana è prevista per l'Ottobre di quest'anno), non occorre ignorare l'altro progetto, "Tanzträume", che assurge ad una funzione speculare e guarda al metodo educativo e alla pedagogia dell'insegnare, senza tralasciare la forza dirompente della danza contemporanea pura. Diretto dalla fedele Anne Linsel e dall'esperto Rainer Hoffmann, "Tanzträume" è un prodotto di rara forza emotiva, ma soprattutto un'opera capace di integrare alla perfezione artisticità e scopo informativo, attraverso un'analisi sociologica dell'adolescenza odierna e uno studio accurato dei meccanismi che regolano il rapporto insegnante/alunno.


 "Tanzträume" non è un encomio commemorativo. A dire il vero, la dipartita della sua insigne protagonista è appena accennata, grazie alla dedica dovuta e ad un fermo immagine evocativo e umanissimo. La scelta è in parte volontaria, in parte obbligata. Obbligata, perchè "Tanzträume" non è un documentario su Pina Bausch, quanto un interessante esperimento sociologico partito dall'artista e dalla sua equipe di supporto, volontaria, perchè riesce ad evitare il calligrafismo biografico tenendo conto e fede all'atteggiamento dimesso e discreto della donna, che non ha avuto modo di passare al vaglio il montato finale. Forse proprio per questo, è un documentario essenzialmente vitalistico, improntato alla possibilità e al riscatto, piuttosto che un commiato definitivo e triste. Per certi versi, è il corrispettivo "realistico" di alcuni efficaci prodotti di narrativa, come il "La Classe" di Cantet, con la sua analisi diversificata, o l'"Half Nelson" di Ryan Fleck, con la sua reciprocità extrascolastica tra l'insegnante problematico e l'allieva difficile. Come ogni documentario, il suo è uno scopo essenzialmente divulgativo, che in questo caso possiamo per certi versi definire propriamente tecnico, perchè evita istrionismi visivi e riflessioni ideali e si concentra su un preciso "fuori onda", "un dietro le quinte" che è uno spaccato sociale, generazionale e personale insieme. I veri protagonisti della pellicola sono gli adolescenti, le loro reazioni, le loro vite, le loro scoperte. L'esperimento è quello di osservare, attraverso l'arte usata come medium e non come fine, l'evoluzione di un gruppo di giovani di ogni estrazione e provenienza chiamati, dal nulla, ad organizzare uno spettacolo adulto, quel "Kontakthof" che ha profondamento segnato la carriera della loro mentore. In questo modo, grazie ad un'attenta scelta di momenti topici inerenti la preparazione (con una scansione temporale vissuta direttamente sulla pelle dello spettatore che partecipa dell'emotività dei protagonisti) e soprattutto ad un ispiratissimo ma mai lacrimevole lavoro di introspezione per alcuni degli allievi (che arrivano a mostrare lati dolorosi in presa diretta, lasciando che vi sia un'integrazione parziaria di momenti personali e di storia delle zone di provenienza), la pellicola diventa uno studio sui meccanismi personali e relazionali e un affresco sulle problematiche, anche esistenziali dei giovani. Il compito è ancora più mirato e tira in ballo la pedagogia, il ruolo dell'insegnante (sono le due assistente della Bausch, Bénédicte Billet e Josephine Ann Endicott, a riscattare un lavoro spesso così osteggiato ed entrano in perfetta e amorevole empatia con i giovani alunni) e arriva all'esaltazione della comunità e del lavoro, facendo della manifestazione artistica appresa un importante segnale di crescita personale e di superamento di difficoltà intrinseche all'età. "Tanzträume" termina con la messa in scena parziale e selezionata dello spettacolo e porta a galla, con una certa forza, temi drammaturgici cari al Novecento sulla società di massa, sull'indifferenza umana, e la solitudine esistenziale, aggiungendo al tono informativo, come detto, una rielaborazione artistica a tutto tondo. Consigliato.

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