Review 2011 - De Vrai mensonges










Salvadori tenta ancora l'approccio alla commedia sentimentale francese, scimmiottando qualche illustre maestro (soprattutto le coincidenze esistenziali di Resnais alle prese con la coralità, di altra levatura) e rinnovando la figura-feticcio della cerbiatta Audrey Tatou, in evidente stasi creativa. La Tatou è Amelie in quasi ogni film, così come la Hepburn era Arianna/Sabrina/Holly. Peccato che Salvadori non sia Billy Wilder nè Blake Edwards, al massimo è un mestierante non troppo originale che crea film scorrevoli e piacevoli, tutti basati su una frivolezza che risente molto della svagatezza svogliata dell'Allen in giro per l'Europa. Ma può bastare?


"De Vrai mensonges" è un film abbastanza innocuo, un frivolo pamphlet amoroso di vecchia generazione, una pseudo-favola moderna, con personaggi minimalisti e grotteschi insieme, piuttosto indecisi nello scegliere un tratto di caratterizzazione normalizzante. E' una favola dei "tipi", o meglio, dei "difformi", o meglio ancora degli "strangers", a sè stessi e a noi. L'intera narrazione si basa su una reiterata beffa a fin di bene, mentre cresce la poca credibilità realistica e si afferma una componente quasi surreale che fa pendant con un'intera categoria di film francesi della nuova generazione tutti uguali a loro stessi. Certo non c'è Danny Boon a compromettere il tutto, nè un uso di stereotipi bassi, ma l'aspirazione è quella di creare una commedia sul distacco tra la realtà in sè e quella modellata a proprio piacimento, per ragioni affettive, dalla protagonista, speranzosa di un cambiamento della condizione di delusione della madre, arrivando all clichè dello scambio di persona, al rapporto paradossale, alla farsa. Quindi, nulla di nuovo. E' questo il gioco che regge il film, votato anche ad un epilogo dannoso ai fine di un possibile cinismo. Elogio del sentimento improvviso (ma calcolatissimo ai fini narrativi), "De vrai mensonges" è un'opera didascalica e artefatta, da vedere con l'occhio di vuole godere di una spensieratezza di poco conto, senza complicazioni. E, sebbene il mio amore per la vecchia Amelie, sia piuttosto limitato, non si può che celebrare la sua grandezza eversiva rispetto alla minuscola vita di un personaggio senza poesia alcuna. Conta molto anche la forma, e se Jeunet è in grado di rinnovarla, Salvadori è addirittura portato a renderla un misto di vintage e quotidiano, con un risultato banalotto e incerto.

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