Gli anni '80 nuovo specchio dei tempi (incerti) di un orizzonte cinematografico che cerca ancora il nuovo John Hughes. Peccato che la sua scomparsa, piuttosto che esaltare la sua stessa produzione trascorsa, abbia stoltamente cercato di rinvigorire una pseudo-tradizione dimenticabile.
Operazione di antiquaria vintage. E dopo aver saccheggiato i '60, oltrepassato i polizieschi anni 70', elevato a prototipo il modello della comedy-star anni '90, la nuova moda si chiama 80's. Revival di paradossi e cult di adolescenze oggi in età adulta, "Take me home tonight" è un pastiche che segue l'andamento classico della comedy post-giovinezza, post-sbronza, post-liceo e giu di lì, con una dose di non-sense appena visibile e una narrazione senza verve, tutta articolata in una serie di gag poco divertenti e molto anonime, su un giro di accordi ben noti (con la soundtrack che incontra il favore dei reduci della generazione pop e poco arrabbiata di un decennio non entusiasmante sotto un profilo culturale). "Video kill the radio star" cantano i Buggles, e dopo un po' a dare man forte arrivano i Duran Duran e Falco, fino ad approdare alla "Bette Davis eyes" di Kim Carnes, hook esaltante a distante di anni. E poi? Non c'è un poi in film come "Take me home tonight", manca solo che Jane Fonda inserisca una delle sue lezioni per palestra casalinga, che "Il mio amico Arnold" faccia una comparsata e che i Chipmunks tornino ad essere un ricordo piacevole (e non un'aberrazione come nelle versioni cinematografiche di questi anni). Manca Michael J. Fox, ma c'è l'alienato Topher Grace e, guarda caso, c'è Anna Faris, di solito deliziosa e svampita anche quando attenta ad un mostro sacro come la Monroe ("La coniglietta di casa"), fisicamente, stavolta, via di mezzo tra una normalizzata Sarah Palin e una modesta Tina Fey. In tutto questo (e molto altro, come la copia bionda di Kristen Stewart, Teresa Palmer, stessa espressività, stesso carisma), ciò che colpisce è la scarsa capacità ad inventare/rielaborare qualcosa, finendo ad assemblare idee che suonano come scarti, magari come nel recente "Hot the tube machine", altro sintomo di un'impostazione fuori tempo massimo. John Hughes viene svuotato della sua essenza e della sua sbalorditiva leggerezza, quasi usato. Rivolgetevi ad "Easy A", che forse è un testamento apocrifo indiretto, grazie ad un regista, Will Gluck, che decide di omaggiare Hughes con i suoi stessi frammenti di opere (metacinema), ma prosegue in un mondo temporalmente e spazialmente lontano dai congelati 80's, riuscendo a delineare una sensibiltà tutta dei nostri giorni.
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