Pablo Larrain ha il Cile nel sangue e nella mente, senza possibilità alcuna di allontanarsene. E il suo Cile non è quello "pacificato", ma un mondo interiore e mentale che rimanda ad un contesto storico esteriore senza giustificazioni o possibilità di riletture "romantiche". E' il Cile post-Allende (e post-mortem della democrazia) che prepara l'avvento di Pinochet e della dittatura. E' un cinema assoluto e senza speranza.
Quando vi avvicinate ad un film di Pablo Larrain, state certi che la storia cilena cercherà di travolgervi in tutta la sua crudezza e insensatezza e, in un modo o nell'altro, ci riuscirà. Ma piuttosto che colpire la vostra mente lucida, Larrain preferisce tirare un pugno al vostro inconscio, perchè la storia del paese sud-americano non viene narrata in modo diretto, come fosse un documentario o un resoconto ideologico e militante. La storia si insinua, trascende il contesto narrativo e diventa parte di esso. A prima vista non dominante, in realtà sottotraccia che diventa una costante e costante che diventa fulcro fino a riempire l'atmosfera cinematografica. La storia di Larrain e del suo Cile è l'atmosfera in sè, appunto. Un magma vitale di morte, un silenzio assordante dopo spari lontani e filtrati dal rumore dell'acqua che cade da una doccia, una camera scura, una strada deserta di fumo, un ammasso di corpi senza nome, ragione, un'autopsia a cielo aperto, un presidente senza un volto, una storia di sesso, un nascondiglio-prigionia. Ogni singolo luogo della rappresentazione evoca la Storia, quella reale, quella percepita direttamente, non quella mediata dall'immagine televisiva o da un testo cartaceo da sfogliare senza troppa attenzione. Così come in "Tony Manero", anche in "Post Mortem", Larrain mette al centro l'inetto, una figura pesante e ambigua che rapisce lo spettatore e lo stordisce per la sua apatia, per la sua crudeltà, per il suo senso del cambiamento repentino, per la sua immobilità visiva e fisica, per la sua trasformazione continua nascosta nel solco di una personalità ineffabile. L'inetto in questo caso è un "funzionario" (termine che scandisce con grande perizia) che vive la sua vita e la vita della sua storia senza battere ciglio e si trasforma da "perseguitato" in "persecutore" seguendo una logica che non è manichea. Infatti Mario non muta davvero e fino alla conclusione durissima, non sembra aver perso l'umanità in nessun modo. Piuttosto, progressivamente, la sua alienazione iniziale diventa alienazione vitale e senza speranza, diventa omertà e silenzio, per poi sfociare in una vendetta del "nulla". Lo sguardo di un grandioso Alfredo Castro diventa espressione ontologica del nulla, un protagonsita della storia senza nome o volontà, suo malgrado, un insensato, un fuoriposto. E Allende diventa un corpo morto, mentre la lentezza burocratica è l'unico elemento che lega due mondi speculari e vicini, quelli "pre" e "post-mortem", non troppo lontani in apparenza, ma antitetici nella realtà.
accidentaccio! grande rece e regista che DEVO decidermi di vedere una volta per tutte! :)
RispondiEliminaehm... si trova facile 'sta roba? anche manero intendo... ;P
grazie roby! Si lo devi recuperare, Larrain è un regista molto particolare e ti piacerà per questo probabilmente...Comunque si trovano entrambi, anche in streaming (per esempio su Italia-film.Com), aggiungo che Post mortem è sottotitolato in italiano e credo che la Cecchi Gori che lo distribuisce abbia scelto questa versione per l'homevideo ;)
RispondiElimina