E' circa un decennio che il film "tematico" irrompe sistematicamente nella cinematografia italiana. Dal "cinepanettone" al "cinecocomero", dai Vanzina al Lucini di "Oggi Sposi", senza dimenticare uno dei "re" (nostro malgrado) del film romantico/generazionale/societario, quel Fausto Brizzi che ha portato la televisione sul grande schermo. Veronesi ci tiene a mantenere viva la tradizione con il terzo episodio, non richiesto, di "Manuale d'Amore" e continua una parabola discendente, tra macchietta e scarti di sceneggiatura, nonostante il tono elegiaco, decisamente inadatto. Non ci sono scuse. "Manuale d'amore 3" mostra che la linfa vitale della commedia nazionale scarseggia e, per correre ai ripari, c'è bisogno di un cambiamento radicale. E l'acquisto di ex pezzi da novanta come De Niro non è la medicina ad una malattia ben più grave. Citofonare Zalone.
Veronesi ha tentato il "colpo facile", con la benedizione del "presidentissimo", e l'ha fallito. Terzo capitolo di una saga di successo, quel "Manuale d'amore" che ha fatto presa sul pubblico più per strategie di marketing che evidente forza comica. L'ars amandi è diventata una formula, una "serie", una summa diversa di episodi antitetici, collegati o meno nell'intreccio narrativo. E, come ogni formula, ha subito un evidente contraccolpo con il secondo capitolo in termini qualitativi, fino a diventare un sonoro tonfo nell'ultima versione uscita quest'anno. La "chiamata alle armi" di De Niro, quel Bob che sta affossando con grande efficacia una carriera di primo piano, e l'arruolamento di Verdone/Scamarcio non salva la roccaforte nè sotto un profilo economico nè sotto un profilo artistico. Veronesi non è mai stato un fine uomo di cultura, nelle sue pellicole, ha cercato una rappresentazione tipizzata, non sempre di infima qualità, ma molto legata ad un'ottica comune, al clichè. E' il tipico regista dell'Italia degl primo decennio del 2000, troppo attento al pubblico, quasi inacidito nei confronti di chi non gli riconosce meriti come quello di aver "modernizzato" la commedia, creando un raccordo tra la fase "classica" della nostra cinematografia e quella moderna. Personalmente, lo ritengo non molto distante dal Pieraccioni incolore, in cerca delle geometrie di scrittura alla Brizzi, alter-ego perfetto di quel Verdone che lo accompagna spesso nelle sue opere e che, ormai, si è ridotto alla ripetizione con varianti (per esempio nell'ultimo "io, loro e Lara"). Il problema del regista toscano è molto simile a quello dei colleghi appena citati e si dimostra chiaramente in questo capitolo. In molti non hanno cognizione, ancora oggi, che la scelta del soggetto e la capacità di una scrittura unica centrale sia la cosa più importante per far funzionare una commedia. Il film ad "episodi" ha avuto una gloria imperitura nella nostra società anni 60', rischiando in alcuni casi circostanziati di diventare bozzetto semplicistico. Il voler riportarlo in vita magari edulcorandolo con fotografia patinata, product-placement, attori ad impostazione teatrale, è un passo falso, fuori tempo massimo, un fenomeno accettabile solo per una fase di passaggio, non destinato ad un grande fututo. E' per questo che una narrazione, di certo imperfetta, ma vitale, come quella di Nunziante per Zalone , è esplosa di netto, per la sua capacità di seguire una strada paradossale e lineare, magari accentrata sul personaggio, evitando di caricarlo di eccessivi legami a situazioni precedenti. In "Manuale d'amore 3" si tenta di mescolare comicità e una certa poesia del tema, seguendo tre linee guida, tre episodi interni, legati in modo risibile con accenni difficili da cogliere in certi casi. Nessuno dei tre episodi ha un che di memorabile, si tratta di evidenti "costruzioni" incolori, magari un po' artigianali, un po' naif, un po' prive di razionalità, che non dicono nulla allo spettatore, a volte aperti da monologhi recitati imbrazzanti, con un "Cupido" (Emanuele Proprizio) che sembra uscito da una recita scolastica e delle grosse insicurezze anche da parte di Scamarcio, Chiatti, senza parlare del trittico altrettanto ridicolo Belllucci-Placido-De Niro. Entrambi gli episodi (primo e terzo) sono di una pochezza esasperante e si dilungano eccessivamente. Meglio va con l'amarezza del secondo, in cui torna a volare Verdone, con una scansione perfetta e tipicamente italica dei tempi comici ed un affiatamento notevole con la brava Donatella Finocchiaro, insieme ad un soggetto surreale che permette di portare in scena, per pochi secondi, nei panni di una psichiatra, una rinata Lella Costa. A chi volesse vedere il film, consiglierei solo il secondo episodio, che, lungi dall'essere perfetto, mostra che Verdone un po' di stoffa ce l'ha. Nonostante tutto.
Grazie al cielo al botteghino è andato piuttosto male e comunque nettamente inferiore alle aspettative!
RispondiEliminal'unica speranza che ho è che non abbia ricevuto i contributi statali, perchè, dopo la dichiarazione di film d'essay (che hai riportato sul tuo blog) di De Sica, sarebbe veramente scandaloso.
RispondiElimina