Intimo racconto carico di una speranza lieve, "Angèle e Tony" è una descrizione minuta e mai eccessiva, pudica nel senso letterale della parola. Eppure in questa "poesia delle piccole cose" si intravede, man mano, una grazia rara e un'empatia corposa. La regista, Alix Delaporte, è l'incarnazione di un cinema francese forse demodè ma di rara comunicabilità con un pubblico non vastissimo ma fidelizzato.
Comincia davvero male, il film di Alix Delaporte, il che significa, in un'ottica diversa e speculare, che cominci davvero bene. La regista non ama scioccare con un assunto adrenalinico, nè eccedere in un linguaggio visivo fine a sè stesso. Semplicemente decide di spiazzare lo spettatore, facendogli, di netto, accantonare la possibilità di capire chi siano i personaggi portati sulla scena. Comincia male, nel senso che un individuo abituato alla tradizione hollywoodiana, che parte con il botto o con un'introduzione limpida, si trova immediatamente catapultato in un mondo asettico, carico di silenzi e di campi lunghi, con una protagonista statica, che sia in una scena amorosa o in un bar. La Delaporte preferisce disseminare qualche indizio, ma non riesce a carpire l'attenzione di chi guarda come fa un thriller perchè il suo modello di riferimento è il dramma umano, agrodolce. In poche parole, utilizza la tecnica del frammento in un'opera psicologica, lontanissima dal contesto canonico di riferimento. Poi, pian piano, con una certa disinvoltura, aggiunge l'elemento narrativo vero e proprio, magari non dimenticandoi di aggiungere una quantità moderata di naif e una certa freschezza espositiva. La progressione delle "piccole cose" quotidiane aumenta e si trasforma, nel finale lieto, in una poesia, un attimo che diventa una serie di istantanee cariche di una speranza naturale, umana. E , in questo modo, l'asetticità dell'introduzione viene meno con costanza, fino a concedere un attimo di "respiro vitale", semplicemente facendo leva sulla storia in sè, sui caratteri moderati, sull'assenza di parole, sul peso del paesaggio e su picchi interpretativi misurati ma non per questo meno rimarchevoli. La "poesia delle piccole cose" della Delaporte diventa una sottotraccia di un cinema prevalentemente francese che è destinato a sopravvivere, nonostante tutto, in un distacco apparente che non è stato mai così umano e in una dolcezza che non è stata mai così lieve. L'incontro di due anime non è altro che un incontro di due anime. Bisognerebbe dare lezioni a molto cinema vacuo che problematizza il semplice.
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