Review 2011 - How I Ended This Summer ("Kak ya provyol etim letom")






8.0 su 10

"How I saved this summer" è un'opera sulla mutevolezza delle relazioni umane, sulla loro intensificazione, sulla loro stessa sopravvivenza/convivenza forzata. E' una storia di due anime distanti, lontane tra loro quasi come la distanza che separa la terra in cui dimorano, presso la stazione polare Valkarkai, e il mondo reale. Il film è un manuale di psicologia relazionale, appunto, immerso nella spettrale atmosfera di un luogo incontaminato, dominato dalla natura e dalla sua forza, in continuo scontro terra/mare. L'unico elemento di contatto con la vita è in una vecchia radio, con problemi di intermittenza. Non pensate ad un film fuori del tutto dalla dimensione reale, e magari affine al genere "catastrofico". Il bello della pellicola del giovane russo Alexei Popogrebsk sta nella volontà di cercare l'elemento conturbante all'interno della dimensione terrestre, in condizioni di estrema difficoltà fisica e psicologica, un po’ alla Insomnia versione originale di Erik Skjoldbjærg. Proprio qui avviene lo scontro/incontro tra due uomini diversissimi, un giovane e aitante laureato in tirocinio e un vecchio esploratore legato da tempo alla piattaforma, ormai parte di essa e della sua lunga storia. Con un efficace storia nella storia (e la mancanza di verosimiglianza viene meno proprio in relazione alla condizione già destabilizzata dei protagonisti da un punto di vista mentale), a sua volta legata ad un tragico evento impossibile da comunicare al compagno, la solidità gioiosa dello studente viene assorbita del tutto da un terrore bambino, incontrollabile, mentre nell'uomo adulto si mascherano atteggiamenti complessi di guida severa e integerrima e di padre burbero e affettuoso. La grandezza del film sta davvero nelle sue pause, nei silenzi dei personaggi, compresi solo dallo spettatore, a conoscenza dell'assunto, fino ad un epilogo aperto. La cura della confezione fotografica, affidata a Pavel Kostomarov, permette di creare un netto parallelo tra la vicenda umana e la condizione naturale, anche grazie ad una location primordiale magica e surnaturale. Per il resto, meritato Orso d'Argento a Berlino per i due attori protagonisti, Grigory Dobrygin e Sergei Puskepalis, capaci di un lavoro intenso e problematico, con un'espressività mai banale e con l'adesione perfetta alla tipologia contrapposta del giovane inesperto occidentalizzato e del padre di famiglia rozzo e popolano con un cuore nascosto.

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