Su RAI3 alle 21,05
"The Reader" di Stephen Daldry è un melò intenso e ispirato che pecca in un gusto marcato alla provocazione fine a sè stessa, sbilanciandosi, con coraggio, ma senza risultati degni di nota, tra due storie chiuse in sè, due film in un unicum cinematografico.
"The reader" con l'Olocausto ha poco a che vedere. Probabilmente, elimitati i resoconti delle donne superstiti, e l'ultima ruffiana sequenza di "restituzione", nulla. Il primo "scandalo" sta nell'assunto, nella rilettura, nella sproporzione tra elemento storico e personale. Non più sofferenza esibita, aberrante, mostruosa, ma solo parole, verbali, luoghi desolati, fotografie, ricostruzioni. Non più scheletri umani, ma scheletri nell'armadio. Non più la prospettiva di una vittima, ma quella di un carnefice, a cui affidare parole di fuoco, senza significato apparente e che invece nascondono il vero motivo del film. Cosa resta di un uomo, nonostante la giustizia "spettacolo", quando viene estirpato dalla sua terra? Niente. Ed è questa la risposta di Hanna Schmitz. Nichilismo puro. E dove finisce il confine tra umanità e disumanità, tra legge scritta e diritto naturale? Il vero tema è questo, mascherato da altro. La vera provocazione non riuscita è quella della storia d'amore che non acquista il trasporto necessario nel finale e si perde nella pura e fredda malinconia, dopo un inizio promettente anche se banale nel riproporre l'elemento di "formazione al sesso" tipico di un cinema europeo vecchio e morboso. Il problema è la contrapposizione illogica, livellata tra il prima e il dopo. La pellicola si divide in due: storia d'amore e storia di colpa, con i personaggi che ritornano. Il vero peccato è che, dati i livelli temporali (peraltro non credibili) mutevoli, entrambe le tematiche invece di interagire si chiudono a riccio, diventando indigeste, poco empatiche (è la recitazione che le salva). Troppa carne al fuoco in un film che rinchiude due film senza saperne focalizzare bene nessuno. Il testo di Bernhard Schlink è difficile da mettere in quadro e l'adattamento risente del montaggio semplice e per nulla incisivo. Manca il lavoro della regia (credo che manchi proprio uno stile riconoscibile e Daldry è un mestierante, io avrei pensato alle grandi architetture di sceneggiatura di Fincher), mentre tutto il resto, dalla fotografia alle interpretazioni è parzialmente azzeccato. Certo non avrei premiato la Winslet con l'Oscar per questa interpretazione, nè considero riuscita la prova di Fiennes, così come non eccelso ma positivo il lavoro del giovane David Kross, ma la ricostruzione è encomiabile. "The Reader" fa flop quando l'elemento storico e quello individuale si toccano senza compenetrarsi e perdono la loro valenza di necessità reciproca. Buono il passo in avanti della riduzione dell'Olocausto a sfondo, ma le due linee, quella romantica e quella storica, non trovano un raccordo adeguato.
sembra la dimostrazione di quanto è complessa la realtà, nel senso di diversa da come appare a chi vuole sapere dove è la ragione e dove è il torto, a chi vuole solo sapere se xxxxxx è colpevole o innocente.
RispondiEliminaper quello che ne so un processo dovrebbe servire ad accertare cosa è successo: se si trasforma in uno spettacolo, o. peggio, in uno strumento di ricerca di un capo espiatorio siamo fottuti.
il film mi ha angosciato quando il protagonista non ha avuto il coraggio di spezzare le regole e di urlare la verità che conosceva.
il professsore di diritto chiede ad un certo punto: a cosa serve la confessione di una "colpa" da parte un padre se il figlio che la raccoglie non riesce a non commettere lo stesso errore?
e quindi l'errore è non avere il coraggio di raccontare il brandello di verità che si conosce?
anche a me il comportamento del protagonista ha un pò infastidito, soprattutto considerando anche il dopo, ovvero l'atteggiamento manifestato quando Anna è in carcere, da una parte di vicinanza, con i nastri inviati, dall'altra di distanza, perchè non risponde mai alle sue lettere. per quanto riguarda il professore, non ricordo precisamente la frase in questione, credo che come tutti i personaggi del film, non abbia in sè una componente del tutto positiva (d'altronde come hai ben notato l'esercizio del diritto spesso diventa "spettacolo" puro) e il senso problematico si ponde nel dilemma, come dici tu, di dire o non dire la verità.d'altronde l'omertà credo sia paragonabile, in parte, al reato vero e proprio, perchè comunque è un nascondere una realtà che, se posta all'attenzione di tutti, potrebbe portare ad identificare o meno qualcosa di ingiusto. In questo senso, la confessione dei padri è inutile se i figli non hanno il coraggio di guardare/gridare la verità, come hai scritto tu. grazie mille per il commento.
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