Il terzo film di Christian Carion conferma le doti di un regista che sceglie soggetti inusuali e poco noti per descrivere una storia fatta da piccoli uomini/eroi buoni, inserita in un discorso più ampio e generale di manovratori ambigui.
7,5 su 10
Non è stato amore per "Joyeux Noël", nonostante la valenza umanitaria e il forte sentimentalismo che pervade la dimensione delle trincee. D'altronde unire al tema della guerra (il primo conflitto mondiale) un episodio di pacificazione volontaria, in occasione della Festività del Natale, è tanto magico e poetico quanto troppo agli antipodi rispetto a quanto siamo disposti ad accettare in un "War-movie" classico, con nemici/amici. Siamo dalle parti di "Ama il tuo nemico" o, per restare in tema, di qualche riflessione di Erich Maria Remarque. In realtà, la buona fede e l'umanitarismo di Carion sono fuori di ogni dubbio, e le sue "angolazioni" storiche/sociali ne sono un esempio lampante. Nel film di esordio, "Una rondine fa primavera", con noncuranza rispetto al modello imperante dei soggetti adrenalinici, si chiudeva a riccio nella campagna, facendo di una donna di città una contadina a tutto tondo. Il suo richiamo bucolico è una critica al mondo della megalopoli, a favore della vita naturale. Carion si può comprendere se si osserva la sua storia personale, caratterizzata da un'infanzia "contadina", molto lontana dal mondo artistico, semplice e di "buon cuore". E' per questo che, nel vedere una sua pellicola, c'è sempre un sentimentalismo ottocentesco di "ritorno all'uomo" piuttosto che un'analisi spietata e crudele. Affrontando, con risultati più omogenei, la Guerra Fredda, Carion non si muove di una virgola dal suo "schema-cinematografico". Piuttosto che far risaltare l'importanza degli affari internazionali, con i leader politici Reagan/Mitterand che fanno da sfondo, sceglie ancora un evento marginale e poco noto, con protagonisti sconosciuti ai più, magari solo consapevoli della portata delle loro azioni e non tanto delle conseguenze, sconquassati da un sistema più complesso che ne fa delle pedine in movimento. Carion affronta "l'affaire Farewell". Ci si riferisce ad una serie di documenti forniti volontariamente all'Alleanza Atlantica da parte di un "delatore" del KGB, Vladimir Vetrov, fondamentali per lo sconquassamento del sistema comunista, con importanti riferimenti al lavoro delle spie russe in territorio occidentale. L'intermediario è un francese, Pierre Froment. L'intero asse narrativo si lega a questo particolare avvenimento, e segue una prospettiva volutamente eroica, in cui soprattutto Veltrov agisce per pura vocazione, alla ricerca di una forma nuova di governo che dia speranze e possibilità alla sua famiglia e alla sua patria. Carion riesce, in realtà, a definire con estrema cura il personaggio centrale, grazie ad una sceneggiatura corerente e a manicheismi mai banali (la rinuncia del personaggio non è al comunismo in quanto tale, ma alla sua degenerazione e la sua speranza è una sorta di utopia positivizzata). In più si avvale di un'interpretazione magistrale di Emir Kusturica, che giganteggia sulla scena con una semplice espressione facciale. A lui aggiunge un defilato Guillaume Canet, già presente nel film precedente del regista, con un piccolo cammeo della sua ex Diane Kruger, anche lei legata a Carion da un'interpretazione molto più complessa in "Joyeux Noël". L'intero cast, con Willem Dafoe, la dolce Alexandra Maria Lara, un Niels Arestrup in gran spolvero, è supportato da personaggi meno noti in ruoli anche di spessore. La direzione degli attori è ottima, anche in virtù della differente provenienza territoriale. Per quanto concerne l'adesione al genere, l'elemento spy non raggiunge mai un volontario climax emotivo, e al massimo la tensione aumenta verso il finale con la fuga in un ambiente desolato. Ma nulla di più. In questo senso, i canoni del genere, pur essendo ancora ispirati alla filmografia degli anni '70, diventano soprattutto di tensione emotiva piuttosto che di azione. Questo, in accordo con la tesi "moralistica" del film, è un elemento positivo che porta lo spettatore più alla meditazione psicologica/storica che al semplice divertissment e ne giustifica la lentezza decisa. Buona la ricostruzione e la messa in scena, di livello la regia. Un film impeccabile, direttamente legato al suo regista, che sarà buonista e tradizionalista, ma è anche estremamente sincero.
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