"Waking Sleeping Beauty" è un gustosissimo "dietro le quinte" di un mondo, quello dell'animazione Disney, insieme affascinante e profondamentte umano, tra litigi, cambi di presidenza, tendenze artistiche e pressioni del mercato, nella fase più complessa per il colosso, quando la sua opera sembrava aver perso per sempre appeal sul grande pubblico.
8.0 su 10
Il documentario è forse l'arma migliore per smascherare qualcosa. Ma è anche l'arma perfetta, in sè, per raccontare la storia/gestazione/evoluzione di un qualsiasi fenomeno. Non a caso nel genere c'è una forma di libertà con pochi compromessi rispetto alle esigenze delle opere di fiction. Più che una creazione, è una ricostruzione, e talvolta una ricostruzione creativa. "Waking Sleeping Beauty" appartiene in tutto a questa definizione. Disney è stato, fin dal principio, attraversato da eventi/momenti/polemiche/dichiarazioni choc che ne hanno fatto un mondo costantemente sotto l'attenzione dei mass-media, tanto rassicurante quanto scandaloso. La stessa figura del creatore Walt è infarcita di elementi misteriosi e di spunti per nulla pollitically-correct. C'è stata una fase in cui la Disney è stata mandata avanti solo dalle sue produzioni, di livello spesso davvero imbarazzante, "live action", con il settore animazione in crisi non solo apparente. Il documentario di Don Hahn, storico produttore del brand, si focalizza su quanto accaduto tra il 1984 e il 1994, dieci anni di mutazione genetica dell'animazione made in Disney, seguendo tre linee direttrici, spesso contrastanti, quella del gigione da intrattenimento Michael Eisner, del rigoroso Frank Wells, venuto a mancare in un tragico incidente aereo, del discendente di casa Disney, Roy Edward, il "tradizionalista" continuatore, a cui affiancare lo storico produttore Jeffrey Katzenberg. E' rimarchevole che il documentario sia stato impostato con assoluta libertà analitica, riuscendo a far emergere il clima per nulla idilliaco, di competizione e lotta pura, presente ai più alti vertici dell'amministrazione della casa. Ma non solo, di rimando, Don Hahn ci consente di vedere da vicino quel lavoro "non accreditato" di giovani e rampanti artisti in cerca di fama, ma anche di possibilità di espressione compiuta, da cui deriva la grande qualità dell'animazione a livello formale e contenutistico del nuovo millennio. Nelle scene d'archivio (si tratta di un vecchio filmino amatoriale usato per tutta la durata del film, montato utilizzando didascalie e momenti "storici" presi da trasmissioni giornalistiche come "60 Minutes"), ecco che compaiono Tim Burton, John Lasseter, che diede inizio al fenomeno parallelo della Pixar, oggi vanto inglobato sotto il marchio più noto della "casa madre", fino a volti poco noti ma che hanno rappresentato la rinascita per il marchio, con rinnovamento del vecchio team, dalla "Sirenetta" in poi, come il doppio Oscar Howard Ashman e il giovane Joe Ranft. La prospettiva è inedita perchè mostra ciò che accadde, in un periodo di grande difficoltà, ai principali esponenti del settore e, al contempo, giustappone l'idea di un poetere "alto" noioso e falso rispetto ad un lavoro di squadra autoriale e artistico geniale, accattivamente, estenuante, in cui emerge il profilo della nuova concezione di studios affermatasi dopo il 1994, con successi incredibili in tasca come "Aladdin", "Il re Leone", "la bella e la Bestia", grazie ad una ottimizzazione della produttività. E' proprio in questo arco di tempo che si delinea la rinascita del mondo dell'animazione, con la Pixar ad ideare un sistema innovativo di computerizzazione, e l'affine Spielberg a seguire la stessa strada, spesso e volentieri con Zemeckis subito accanto. Il ritratto/racconto non cade nel noioso, anzi accende di umanità, triste, gioiosa, viva, le figure, senza per questo essere un'apologia quanto piuttosto un'analisi schietta con tanto di vadedecum storico cinematografico da non dimenticare. Non è fondamentale per i non appassionati, ma è una vera chicca per chi è interessato a carpire ciò che si manifesta dietro il processo creativo in sè, analizzando la questione secondo l'ottica di quei tecnici/mestieranti che non appaiono mai sulle copertine e creano le immagini più poetiche ed entusiasmanti di un cinema privo di star in carne ed ossa, ma ricco di stelle animate, adatte per ogni età.
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