"Lawrence d'Arabia", versione David Lean, 1962, è considerato, a ragione, uno dei grandi capolavori della storia cinematografica. Rimontato negli anni' 80 con l'aggiunta di minutaggio, è un'opera affascinante e visionaria, in cui l'elemento centrale non è la raffigurazione del personaggio storico a mò di agiografia quanto più la dimensione ambientale, il deserto, caratterizzata dalle sue regole e i suoi costumi. "Lawrence d'Arabia" è anche un film difficilmente digeribile per gli spettatori moderni, che potrebbero (ed è il mio caso) rimproverargli una durata abnorme, da dilazionare, e un'astrazione ideologica eccessiva, nonchè una glacialità che crea una distanza notevole e gigantizza un protagonista nella sua figura di eroe "problematizzato". Motivi appetibili di analisi interiore si accompagnano ad altrettanti elementi contenutistici difficile da comprendere da un pubblico abituato alla rappresentazione "moderna" della guerra. Tra pellicola classica e film esistenziale, "Lawrence d'Arabia" è un capolavoro del cinema passato che non trova grande capacità di entrare nella dinamica cinematografica moderna, perchè, per certi versi, è più moderno dei nostri orizzonti.
Quando mi accingo a dare una mia lettura ad un classico di tale portata, entrato nella storia cinematografica personale e collettiva di un numero impressionante di spettatori, la prima cosa che cerco di fare è distinguere la mia opinione rispetto a quella altrui, soprattutto se non combacia del tutto. Quindi non posso che constatare l'assoluta importanza storica e artistica di un film "titanico" come "Lawrence d'Arabia". Ispirato alla storia del condottiero british che portò le popolazioni arabe alla rivolta contro i turchi, durante la prima guerra mondiale, è un kolossal storico di impatto e dalle grandi disponibilità economiche. La sua importanza è imputabile a vari fattori. In primo luogo,la presenza dietro la macchina da presa di un perfezionista come David Lean, che è attento non solo alla ricostruzione/visione paesaggistica ma anche alla capacità di dare valenza emotiva al paesaggio che diventa personaggio, forse il personaggio che domina la scena. In secondo luogo, sottolineo la nazionalità dell'ensamble, inglese, il che permette, in un modo o nell'altro, di avere un'immagine meticolosa e adeguata in riferimento alla vera storia. La stessa interpretazione di Peter O'Toole, tra il teatrale e l'introspettivo, è perfetta per l'opera, soprattutto per la capacità di assecondare l'elemento psicologico della figura di Lawrence d'Arabia, che non viene solo rappresentato ma "letto", "compreso" e raffigurato nella sua motivazione interiore generale, diventando un eroe problematico e ambiguo. Il mio problema con l'opera è proprio in questo frangente, ovvero nella grande importanza attribuita all'elemento personale, e alla creazione di un carattere tanto sfaccettato da diventare, con la rappresentazione paesaggistica, l'unico centro e bagliore del film. La presenza di Lawrence e della sua psicologia "moderna" e contraddittoria, di certo molto diversa dall'immagine stereotipata e netta dei personaggi da kolossal manichei tipici dell'epoca, rende ciò che circonda e fa parte della storia un contorno, sempre più ristretto ma mano che procede la pellicola. Il film di Lean perde anche la carica avventurosa, che è tipica del genere, e si rifugia nella psicologia. Tale cosa potrebbe essere prodigiosa, se mancasse l'altro elemento, quello della narratività certosina e "leggibilissima" tipica del periodo, in cui ogni cosa trova il suo posto con una razionalità verbale perfetta, tra lungaggini e ricerca del particolare, anche enfatico. Le due componenti non solo non si compenetrano con vigore ma diventano l'una il limite dell'altra, offrendo una visione complessa ma anche "eccessiva", per non dire "noiosa". Così "Lawrence d'Arabia" è un'opera moderna in un contesto cinematografico classico e ciò le rende onore, ma non la salva dai difetti tipici di operazioni così rischiose.
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