Promossi e Bocciati - Due film made in Italy

Una vita tranquilla di Cuppellini
 7 su 10





Gorbaciof di Incerti
5 su 10




Uniti dal collante Servillo, l'attore italiano più teatrale e più richiesto dalla cinematografia che "conta", entrambi i film sono rappresentazioni speculari del mondo malavitoso, in modo indiretto. Entrambi, in un certo verso, sono figli dell'attenzione sociale ai problemi della camorra napoletana e sono diretti discendenti del vecchio Sorrentino e di Garrone (ed entrambi hanno usato Servillo, in modo diverso). Non è un sottogenere da sottovalutare o da mettere in secondo piano solo perchè rielabora qualcosa di già visto nel nostro panorama di cinema "sociale". Anche perchè, come "Into Paradiso" di Paola Ranaldi (e c'è un altro Servillo, il fratello meno noto, Peppe), che plana verso una direzione complessa di commedia paradossale, anche in questi due casi, la valenza sociale si perde in altre sfumature nuove, come il sottobosco thriller che anima "Una vita tranquilla" e l'assetto doumentaristico di "Gorbaciof". Ma se il film di Cuppellini soddisfa ampiamente le attese e mostra che l'abilità cinematografica è soprattutto quella di mestiere, intesa come capacità di rielaborazione di linguaggi già visti, senza far emergere un profilo originale nuovo nell'interpretazione del tema/soggetto ma con un attento lavoro di rifinitura da cesello, "Gorbaciof" di Incerti cerca di volare alto, troppo alto e arriva a schiantarsi al suolo. La sua è una pellicola orchestrata del tutto sulla figura del protagonista, un uomo silenzioso e monoespressivo, con una voglia sul capo, affarista giocatore che non è altro che un tipo, drammatico, ma sempre tale, piuttosto che un personaggio costruito grazie alla scrittura. Servillo diventa l'one-man-show in questo caso, chiamato ad estenuanti sequenze mute, con la macchina in primo piano sul volto o a seguirlo, tutto intento a creare i sussulti di un personaggio che in realtà non esiste, è solo un abbozzo, non aiutato da una scrittura adeguata e capace di conquistare il pubblico. Lo sperimentalismo, anche visivo, di Incerti non si accompagna ad una giusta dose degli elementi filmici e la storia diventa banale, mentre l'attenzione di chi guarda cade vertiginosamente. E' proprio il senso di chiusura, l'uso del dialetto stretto, l'assoluta mancanza di stimoli empatici che fanno considerare l'operazione di Incerti calligrafica, presa dal suo mondo, anche spocchiosa. E l'esistenzialismo teatrale di un attore non può essere cinematograficamente appetibile. Diverso il caso di Cuppellini, che, come detto, riesce a dare un tocco molto più "facile" alla vicenda, evitando di sviluppare uno stile riconoscibile, ma al contempo sfruttando al massimo le potenzialità della narrazione. In questo caso, Servillo è perfetto, capace di mediare tra la componente tipicamente teatrale e una giusta scrittura del personaggio, che presenta cenni di realismo, di empatia, di solitudine molto più facili da identificare e meno caricaturali. Dopo alcune interpretazioni "sopra le righe", è il suo character migliore, perfettamente inserito nell'ambiente, nella storia, senza diventare la storia. E, nonostante, qualcosa sia prevedibile e l'operazione sia più commerciale, il film è riuscito, efficace, anche ambiguo, grazia ad un'angolazione internazionale. Questa contrapposizione sta a significare che non sempre uscire dai binari è un bene, spesso porta a deragliare, mentre rimanere agganciati al percorso predefinito, può portare risultati superiori alle aspettative.

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