Su Iris alle 21,00
6 su 10
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Allen tenta la strada morale (o meglio amorale?). I risultati annaspano o
quasi. Copione letterario, tema tanto ripetitivo da essere stato tritato in tutte salse. Delitto e castigo. Colpa e redenzione. Su questa dicotomica
equazione, si poggia l’intento morale della vita quotidiana. Ammettiamo che il meccanismo, maldestramente, si inceppi. La tragedia sofoclea perde il suo senso, la quotidiana redenzione, la sua necessità. “Match Point” è il punto della vittoria. L’intenso Meyers, ai vertici della sua forza espressiva, gioca il ruolo di un Barry Lindon dei nostri tempi, aspira all’ascesi sociale e la raggiunge. Subentra la Johansonn, più dura del solito, meno acerba ed
intensa e perciò meno interessante (sebbene Nola, il suo character, richieda una ruvidezza provinciale), che si pone come diaframma tra l’amor gentile ed onesto e la brama di denaro e di successo. Meyers sfodera le armi di un qualunque “psycho” (mutuando un termine che risulta solo parzialmente in linea con l’atteggiamento fermo, risoluto, freddo di un novello killer). Sarà tragedia greca, servita su un piatto d’argento di arie musicali intense, sfuggevoli, drammatiche del Donizetti di turno (Allen le ripropone con una periodicità prevedibile). La pioggia battente sui corpi in una giallastra campagna, le discussioni dinanzi ad un tavolino da caffè al bar, la buia, perentoria accusa nell’esodo finale, salvano ed impreziosiscono. Il diario, le discussioni degli “scaltri” detective, la dinamica finale, imbruttiscono. Il tutto sembra abbozzato ed ingiallito. Meyers segna il suo match point: sfugge alla pena, come carnefice, raggiunge la maturità, come interprete.
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