Su Rete 4 alle 21,10
4.5 su 10
“Defiance”, senza mezzi termini, parole vuote o lungaggini di pensiero, non è un buon film. E’ una pellicola di storia non “condivisa”, secondo molti antitetica in parte rispetto agli eventi reali. Sceneggiatura adattata da un testo letterario, il più grande demerito di “Defiance” sta nell’assunzione di responsabilità verso una scelta di campo, a senso unico. Un lungometraggio non può storicizzare un evento, la cui traccia, anche se discussa, rimane nei terreni bagnati, nelle paludi aggrovigliate, nelle capanne di legno, nella zuppa in pentole di rame annerite, nella vodka che sembra benzina, nel lupo rabbioso, negli alberi, nel cielo. Ma comunque un film non può dimenticare di problematizzare una realtà storica coerente, se si ispira a personaggi reali, evitando di cadere nella trappola del manicheismo ideologico. C’è il grigio delle mezze misure, tra il bianco del candore e il nero della morte. Nei film, la semplificazione narrativa, un po’ una sorta di specchietto per le allodole, porta a tacere, in nome di un’identificazione dei personaggi a dei tipi convincenti, come la figura dell’eroe, piuttosto che in segno di rispetto alla verità storica e biografica dei personaggi. Il limite di un film storico con personaggi esistiti è la loro corretta problematizzazione, altrimenti tanto vale cambiare i nomi e ispirarsi agli uomini reali, senza farne esplicito cenno. Ciò non impedisce di parteggiare. Tanto più, in un film. Il problema sorge quando si nega qualcosa che, a detta, di molti, è da riconoscersi.“Defiance”, infatti,narra dei fratelli Bielski e della loro Armata, nella Bielorussia nazista. Sembrerebbe, dal riferimento didascalico, una “true story”. In realtà, è una parte del tutto. Manca l’accusa dello sterminio di Naliboki che, a detta di numerosi storici, fu compiuto dalla loro Brigata “pacifica”. “La nostra vendetta sarà vivere”, recita il leader. In verità, se il massacro del gruppo delle foreste a danno delle popolazioni polacche non ebraiche fosse veritiero, il film sarebbe un’offesa, evidente, rivolta alla memoria di altre vittime. Diverso è il caso della brutale uccisione di un soldato, quasi a mani nude, da parte della comunità. A parte qualche opposizione e qualche diniego forzato (guarda caso proveniente da uno dei fratelli Bielski), è feroce la critica con cui si guarda all’accaduto. Ma i problemi di “Defiance” non sono finiti qui. Tecnicamente riprese tradizionali, di uno Zwick stanco, un canovaccio noioso, attori fuor di parte, con un Craig che sembra del contingente sovietico, o meglio la solita spia occhi di ghiaccio, piuttosto che un combattente che esorta il suo popolo alla vita, Jamie Bell, sguardo fisso e Liev Schreiber, che sembra un bravo Sam Worthington. Buona la fotografia. Il vero problema è la semplificazione della sceneggiatura e i silenzi storici che pesano più di ogni altra cosa.
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