6.5 su 10
Non si può accusare "La rafle" di essere un film non emozionante. Per quanto mi riguarda, il soggetto, la deportazione degli ebrei di Francia autorizzata dal governo-collaborazionista di Vichy, non è un semplice corollario ai fatti avvenuti altrove, ma è una scelta scomoda, che chiama in causa non soltanto (come si fa di solito) la crudeltà tedesca ma anche l'omertà, l'appoggio, l'accettazione e l'omissione europea, dei popoli che hanno permesso la realizzazione del crimine più grande dell'umanità. La Francia viene salvata solo con una didascalia finale, in cui si menzionano i migliaia di ebrei protetti dai cittadini, ma questo non comporta un revisionismo, nè uno sguardo consolatorio, tantomeno un'assoluzione. Certo il coraggio è maggiore di un'Italia che si chiama fuori dai giochi delle deportazioni, con fiction agiografiche e eroi-ago nel pagliaio. A morire furono, dei 13.000 deportati durante l'estate del 1942 (non sono riuscito a cogliere pienamente il senso del titolo scelto per la distribuzione da noi), anche 4.000 bambini. E nessuna voce ufficiale, nessuna vera mobilitazione popolare, si mosse per salvarli. "La rafle", ha il merito, dunque, non di riaprire una pagina storica, ma di riempire un vuoto, che deve essere colmato dall'immagine, uno dei pochi appigli alla memoria storica, il vuoto dell'accondiscenza, nel silenzo opprimente dei gendarmi e dei politicanti che si adoperano per lo sgombero, il rastrellamento, la deportazione della popolazione ebraica. E, evitando ogni polemica, due sono le cose che colpiscono del film; da un lato l'innocenza a contatto con la guerra, l'infanzia mutilata, dall'altro la relativa assenza di umanità. Più che il solito Hitler pagliaccesco, che compare appena, il film, come detto, è una piaga dolorosa per chi non osò ribellarsi alla disumana pazzia del leader-guerrafondaio, e, per certi versi, non manca il giudizio sull'attività diplomatica e quella militare (gli Americani preferivano portare prima a termine la guerra rispetto alla liberazione dei convogli carichi di ebrei diretti nei campi di concentramento). Sostenuto da un cast ottimo, che mescola grandi interpreti come Jean Reno e Melanie Laurent oltre ad una piccola comparsata di Sylvie Testud e con una ricostruzione storica attenta, il film scorre. Non dice nulla di nuovo, sposta solo parzialmente il baricentro, e il finale sembra un'illusione pseudo-romantica, ma è un'ulteriore squarcio di storia che solo il cinema avrebbe potuto rappresentare nella sua integrità e durezza. E di questi tempi, non occorre "dimenticarla".
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