Best Actor
Colin Firth - "The King's Speech"
Why:
Interpretazione toccante, personaggio storico, carattere mutevole. Firth va all'Oscar dopo la nomination di "A single man" e crede nel colpaccio. La psicologia di Giorgio VI lo aiuta, e la potenza emozionale del film è incentrata sulle movenze espressive del viso dell'attore. Ma conta moltissimo anche il lavoro interiore, a cui aggiungere la balbuzie che ne accentua un carattere "novecentesco".
James Franco per "127 Hours"
Why:
Franco riesce a tenere testa ad attori che si vendono più facilmente di lui e ha il fascino del Dean vecchia maniera. E' un ribelle e sceglie ruoli complessi e ambigui, accettando (e procurandosi, giacchè è anche regista) sfide difficili, spesso borderline, spesso contestate. Lo aiuta Danny Boyle e soprattutto il rifarsi alla storia vera di Aron Ralston, scalatore intrappolato per 127 ore in un canyon. Franco ci mette l'anima e mostra una forza fisica e espressiva fuori dal comune in condizioni disperate. A lui va il nostro supporto-tifo.
Jesse Eisenberg per "The social Network"
Why:
Terzo nella lista, Jesse Eisenberg è la scommessa vinta, il giovane attore più in gamba della generazione indie. Più ombroso e controverso del giovane Michael Cera, è perfetto nei panni del fondatore di Facebook, Mark Zuickenberg, uomo dell'anno per Times, e lo ripropone senza facili clichè, insistendo sul carattere mutevole e indefinito del personaggio, e mantenendo un distacco solitario da nerd e una consistenza piscologica non ovvia.
Jeff Bridges per True Grit
Why:
Bridges viene da un Oscar e le opportunità di avere una nomination l'anno successivo al premio sono, di norma, alte. Inoltre è un veterano dell'Academy e la cosa non potrebbe che giovargli. "Tru Grit" è un blockbuster inatteso, e i Coen riescono a salvaguardare bene i propri attori. Il personaggio richiama il John Wayne, Oscar con la pellicola originale del 1969, e il confronto viene evitato sottolineando diversi aspetti. Bridges lavora sulla pronuncia e non perde, nonostante alcune forzature, mai il punto di vista aspro e scorretto dei Coen.
Ryan Gosling per Blue Valentine
Why:
E' un candidato in bilico. Ha un film apprezzatissimo, piccolo, discusso (per un rating non adeguato e un ricorso vincente in appello), "Blue Valentine", passato a Cannes e punta tutto sulla bravura recitativa in "presa diretta", come la collega Michelle Williams. Il riferimento è la prova più apprezzata, nomination all'Oscar qualche anno fa, quando interpretava un professore macerato dalla droga, in "Half Nelson. E il film non sembra distaccarsi molto dallo stile indie del precedente. Per questo lo vedo vincente su Javier Bardem di "Biutiful" e Robert Duvall di "Get Low".
Colin Firth - "The King's Speech"
Why:
Interpretazione toccante, personaggio storico, carattere mutevole. Firth va all'Oscar dopo la nomination di "A single man" e crede nel colpaccio. La psicologia di Giorgio VI lo aiuta, e la potenza emozionale del film è incentrata sulle movenze espressive del viso dell'attore. Ma conta moltissimo anche il lavoro interiore, a cui aggiungere la balbuzie che ne accentua un carattere "novecentesco".
James Franco per "127 Hours"
Why:
Franco riesce a tenere testa ad attori che si vendono più facilmente di lui e ha il fascino del Dean vecchia maniera. E' un ribelle e sceglie ruoli complessi e ambigui, accettando (e procurandosi, giacchè è anche regista) sfide difficili, spesso borderline, spesso contestate. Lo aiuta Danny Boyle e soprattutto il rifarsi alla storia vera di Aron Ralston, scalatore intrappolato per 127 ore in un canyon. Franco ci mette l'anima e mostra una forza fisica e espressiva fuori dal comune in condizioni disperate. A lui va il nostro supporto-tifo.
Jesse Eisenberg per "The social Network"
Why:
Terzo nella lista, Jesse Eisenberg è la scommessa vinta, il giovane attore più in gamba della generazione indie. Più ombroso e controverso del giovane Michael Cera, è perfetto nei panni del fondatore di Facebook, Mark Zuickenberg, uomo dell'anno per Times, e lo ripropone senza facili clichè, insistendo sul carattere mutevole e indefinito del personaggio, e mantenendo un distacco solitario da nerd e una consistenza piscologica non ovvia.
Jeff Bridges per True Grit
Why:
Bridges viene da un Oscar e le opportunità di avere una nomination l'anno successivo al premio sono, di norma, alte. Inoltre è un veterano dell'Academy e la cosa non potrebbe che giovargli. "Tru Grit" è un blockbuster inatteso, e i Coen riescono a salvaguardare bene i propri attori. Il personaggio richiama il John Wayne, Oscar con la pellicola originale del 1969, e il confronto viene evitato sottolineando diversi aspetti. Bridges lavora sulla pronuncia e non perde, nonostante alcune forzature, mai il punto di vista aspro e scorretto dei Coen.
Ryan Gosling per Blue Valentine
Why:
E' un candidato in bilico. Ha un film apprezzatissimo, piccolo, discusso (per un rating non adeguato e un ricorso vincente in appello), "Blue Valentine", passato a Cannes e punta tutto sulla bravura recitativa in "presa diretta", come la collega Michelle Williams. Il riferimento è la prova più apprezzata, nomination all'Oscar qualche anno fa, quando interpretava un professore macerato dalla droga, in "Half Nelson. E il film non sembra distaccarsi molto dallo stile indie del precedente. Per questo lo vedo vincente su Javier Bardem di "Biutiful" e Robert Duvall di "Get Low".
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