Scorsese ha intessuto una carriera sull'ibrido cinematografico. "Casino" si inquadra perfettamente nell'ottica più tradizionale del regista, quella del "gangster" rimaneggiato, quella del successo critico e della consacrazione da parte del pubblico. Non a caso, è un film incentrato sul mondo malavitoso e sulla dicotomia bene-male ad aver consentito al regista di ricevere il primo Oscar nel 2006, "The departed", un'opera intrigante e di ottima fattura, ma molto lontana dai fasti di un tempo. "Casino" è una pellicola del 1995, ed è la figlia diretta di un'opera cult, "Quei bravi ragazzi", del 1990. La dipenndeza è così forte che non solo ritorna l'attore-feticcio Robert De Niro, ma anche un memorabile Joe Pesci. Il confronto tra i due film comincia con la scelta di una diversa location; se "Godfellas" è inscindilmente legata a New York, e risente di un'influenza più propriamente storica (ma è una genealogia del singolo rispetto alla saga creata da Mario Puzo e legata al trittico di Coppola e non un'opera famigliare, calibrata su personaggi multipli), "Casino" non può che essere legata a Las Vegas, la città immersa nel deserto (che trova una sua valorizzazione anche in termini narrativi), luogo del gioco d'azzardo (che ritorna spesso in Scorsese, dal sequel de "Lo spaccone" ai riferimenti disseminati in altre opere), del peccato e soprattutto teatrino di una malavita organizzata che spadroneggia. Ancora una volta tornano i soliloqui dei protagonisti e il commento fuori campo con una valenza introspettiva, esprimendo solo apparentemente una chiave narrativa già tracciata. E torna il turbinio di violenza che segue alla calma piatta, in un continuo gioco di ruoli dei personaggi che dirigono, ognuno a loro modo, come i burattinai di Hardy (decidono sulla vita e sulla morte), gli accadimenti cittadini, in una guerra che non è davvero tra bande rivali ma all'interno di loro stessi, divisi da voglia normalità (l'amore per una donna) e ambizione sovraccarica, che non si spegne mai, anzi cerca la luce dei riflettori (il talk-show "purificatore"). E' la passione che anima i personaggi, uccisi dalla stessa forza vitale che li anima. Così è per Nick, così per la bella Ginger. Mentre l'equilibrio è fonte di salvezza, si veda "Asso", impegnato nella calibrazione matematica degli eventi. Si intravede la solita lotta tra ragione e sentimento, tra "limite umano" e smania senza sosta. Scorsese trasuda tradizionalismo ma non condanna, tanto che le sfumature manichee vengono meno, e i personaggi negativi e quelli positivi non esistono. Torniamo al noir, alla città del peccato, e non ci sono gli "angeli" a salvare la città, soltanto grattacieli che dall'alto sorvegliano un mondo minuto e ricostruito alla perfezione (Disneyland), in cui l'apparenza barocca domina incontrastata, ai bordi di un deserto colmo di buche aperte che sembra echeggiare il vecchio West. Adoro questo film.
Scorsese ha intessuto una carriera sull'ibrido cinematografico. "Casino" si inquadra perfettamente nell'ottica più tradizionale del regista, quella del "gangster" rimaneggiato, quella del successo critico e della consacrazione da parte del pubblico. Non a caso, è un film incentrato sul mondo malavitoso e sulla dicotomia bene-male ad aver consentito al regista di ricevere il primo Oscar nel 2006, "The departed", un'opera intrigante e di ottima fattura, ma molto lontana dai fasti di un tempo. "Casino" è una pellicola del 1995, ed è la figlia diretta di un'opera cult, "Quei bravi ragazzi", del 1990. La dipenndeza è così forte che non solo ritorna l'attore-feticcio Robert De Niro, ma anche un memorabile Joe Pesci. Il confronto tra i due film comincia con la scelta di una diversa location; se "Godfellas" è inscindilmente legata a New York, e risente di un'influenza più propriamente storica (ma è una genealogia del singolo rispetto alla saga creata da Mario Puzo e legata al trittico di Coppola e non un'opera famigliare, calibrata su personaggi multipli), "Casino" non può che essere legata a Las Vegas, la città immersa nel deserto (che trova una sua valorizzazione anche in termini narrativi), luogo del gioco d'azzardo (che ritorna spesso in Scorsese, dal sequel de "Lo spaccone" ai riferimenti disseminati in altre opere), del peccato e soprattutto teatrino di una malavita organizzata che spadroneggia. Ancora una volta tornano i soliloqui dei protagonisti e il commento fuori campo con una valenza introspettiva, esprimendo solo apparentemente una chiave narrativa già tracciata. E torna il turbinio di violenza che segue alla calma piatta, in un continuo gioco di ruoli dei personaggi che dirigono, ognuno a loro modo, come i burattinai di Hardy (decidono sulla vita e sulla morte), gli accadimenti cittadini, in una guerra che non è davvero tra bande rivali ma all'interno di loro stessi, divisi da voglia normalità (l'amore per una donna) e ambizione sovraccarica, che non si spegne mai, anzi cerca la luce dei riflettori (il talk-show "purificatore"). E' la passione che anima i personaggi, uccisi dalla stessa forza vitale che li anima. Così è per Nick, così per la bella Ginger. Mentre l'equilibrio è fonte di salvezza, si veda "Asso", impegnato nella calibrazione matematica degli eventi. Si intravede la solita lotta tra ragione e sentimento, tra "limite umano" e smania senza sosta. Scorsese trasuda tradizionalismo ma non condanna, tanto che le sfumature manichee vengono meno, e i personaggi negativi e quelli positivi non esistono. Torniamo al noir, alla città del peccato, e non ci sono gli "angeli" a salvare la città, soltanto grattacieli che dall'alto sorvegliano un mondo minuto e ricostruito alla perfezione (Disneyland), in cui l'apparenza barocca domina incontrastata, ai bordi di un deserto colmo di buche aperte che sembra echeggiare il vecchio West. Adoro questo film.
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