"I mostri" è paragonabile a qualcosa di complesso/ibrido, che unisca caratteri da avanspettacolo (con recitazione camuffata, sopra le righe, di due grandi come Gassman e Tognazzi) e no-sense puro ad una rappresentazione episodica basata sull'arrivismo italico ambigua e pessimista. Ci sono sequenze brevissime, semplici epigrammi, da "toccata e fuga", e narrazioni compiute, sistematiche, delineate nella loro perfetta temporalità. Insomma, è un film "ad episodi" che non perde il collante del tema comune ("la mostruosità" dei vizi Italiani), ma viene strutturato in modo atipico, alternando semplici effervescenze, quasi a neutralizzare il continuo cambio di ambientazione, a racconti complessi. Il carattere e l'impostazione è teatrale, in molti casi, in altri invece è smaccatamente cinematografico, in evidente contatto con la commedia anni '60 (tra valorizzazione dell'automobile, la '600, solleone e tribunali). Risi è ermetico (forse sfuggente) nelle sequenze a basso minutaggio, più difficili da cogliere, mentre è esaustivo in quelle, talvolta più corrosive, ad ampia scansione temporale. Ma è proprio il procedere delle sequenze e il loro montaggio ad esplicitare un gusto per il leit-motiv del regista, che diventa paradosso, scherno, risata a denti stretti, intelligente allusione, iperbole. L'ironia è crudele, la società rappresentata come dominata, in tutti i suoi aspetti, da "mostri" senza scrupoli e il numero, elevatissimo, di segmenti narrativi indica una necessità di condensazione a tutto tondo di un carattere comune, visto nelle sue singole prospettive, tra frammento e racconto, tra peccato veniale e peccato mortale, che diventa critica lancinante alla società del boom economico anni '60, in cui domina il vizio, in qualunque forma. Ed è proprio la densità tematica a fare de "I mostri" un film mostruoso, per nulla manicheo, che assomiglia ad un saggio argomentativo di sociologia con una scrittura espressiva perfetta, e per il quale non c'è risata che regga, come evidente dall'episodio finale grottesco e drammatico.
"I mostri" è paragonabile a qualcosa di complesso/ibrido, che unisca caratteri da avanspettacolo (con recitazione camuffata, sopra le righe, di due grandi come Gassman e Tognazzi) e no-sense puro ad una rappresentazione episodica basata sull'arrivismo italico ambigua e pessimista. Ci sono sequenze brevissime, semplici epigrammi, da "toccata e fuga", e narrazioni compiute, sistematiche, delineate nella loro perfetta temporalità. Insomma, è un film "ad episodi" che non perde il collante del tema comune ("la mostruosità" dei vizi Italiani), ma viene strutturato in modo atipico, alternando semplici effervescenze, quasi a neutralizzare il continuo cambio di ambientazione, a racconti complessi. Il carattere e l'impostazione è teatrale, in molti casi, in altri invece è smaccatamente cinematografico, in evidente contatto con la commedia anni '60 (tra valorizzazione dell'automobile, la '600, solleone e tribunali). Risi è ermetico (forse sfuggente) nelle sequenze a basso minutaggio, più difficili da cogliere, mentre è esaustivo in quelle, talvolta più corrosive, ad ampia scansione temporale. Ma è proprio il procedere delle sequenze e il loro montaggio ad esplicitare un gusto per il leit-motiv del regista, che diventa paradosso, scherno, risata a denti stretti, intelligente allusione, iperbole. L'ironia è crudele, la società rappresentata come dominata, in tutti i suoi aspetti, da "mostri" senza scrupoli e il numero, elevatissimo, di segmenti narrativi indica una necessità di condensazione a tutto tondo di un carattere comune, visto nelle sue singole prospettive, tra frammento e racconto, tra peccato veniale e peccato mortale, che diventa critica lancinante alla società del boom economico anni '60, in cui domina il vizio, in qualunque forma. Ed è proprio la densità tematica a fare de "I mostri" un film mostruoso, per nulla manicheo, che assomiglia ad un saggio argomentativo di sociologia con una scrittura espressiva perfetta, e per il quale non c'è risata che regga, come evidente dall'episodio finale grottesco e drammatico.
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