Christmas Time, la rubrica natalizia del blog, presenta una playlist di film affini alla tematica (con tanto di ambientazione) natalizia, che potrebbero rappresentare una piacevole alternativa alla banalizzazione e al saccarosio dei prodotti pensati a tavolino per il periodo. Il Natale è solo un elemento più o meno importante nella definizione cinematografica dell'opera, ma è inserito in un contesto artistico ben diverso e molto più articolato.
"Scrivimi, Fermo Posta" è uno dei primi film di Ernst Lubitsch in terra Straniera. Uscito nel 1940, con James Stewart e Margaret Sullivan, da un soggetto evidentemente teatrale (e la dimensione interna è sia di impostazione narrativa che di esigenze produttive, in piena età dell'oro), si tratta di una commedia brillante, disseminata da picchi di romanticismo. Il tipico scontro tra sessi è acuito da diversa angolazione economica dei personaggi coinvolti e da una costante normalità della sceneggiatura, che mostra un negozio "dietro l'angolo" (The shop around the corner) animarsi di tante situazioni amorose, in prossimità del natale. Lubitsch giganteggia per grazia e rende ineguagliabile l'eleganza di Stewart, un damerino vero e proprio.
Altro classico, altro regista da "commedia dell'oro". "La vita è meravigliosa" è uno dei veri inni al Natale e al suo spirito, forse uno dei film più mielosi del regista, non privi, però, di quel retrogusto amarognolo, con tanto di salvataggio in extremis, che ne faranno un simbolo autoriale anche in epoca successiva, quando l'happy ending deelle sue opere sarà visto come un tentativo di non perdere il proprio carattere popolare piuttosto che vera cifra stilistica. E' una parabola dell'ottimismo, in piena età post-New Deal, con tanto di rappresentazione riuscita del crollo delle borse per bolla speculativa nel 1929. Sebbene non sia un film che, soggettivamente, riesca a trascinarmi del tutto, in maniera oggettiva è un grande masterpiece di carattere valoriale e di importanza storica decisiva. Capra, infatti, non si limita a narrare la storia di una famiglia, ma racconta la storia di un popolo, attraverso le sue varie fasi, creando una piccola epopea di 130 minuti ricca di momenti bellissimi e di rara finezza nella capacità narrativa. Stewart e Donna Reed nei ruoli principali, ma a stupire è l'Henry Potter di Lionel Barrymore.
E' considerata la pellicola testamentaria di Ingmar Bergman per varie ragioni, non solo tematiche. Il film, infatti, è l'ultimo vero capolavoro del regista in termini cinematografici. Dal 1982 al 2007, data della sua morte, solo altri due prodotti minori usciranno in sala e Bergman si sarebbe dedicato solo alla regia televisiva e alla sceneggiatura. Pensate che "Fanny e Alexander" doveva durare 5 ore ed essere trasmesso come produzione televisiva. Bergman, in realtà, crea un grande capolavoro, visivamente affascinante, capace di oltrepassare il concetto stesso di "cinema bergmaniano" e di gettare le basi tra la produzione iniziale e i riferimenti coltissimi del regista. Bergman parte con una sequenza meravigliosa, lunghissima, che è insieme di presentazione dei caratteri e dei temi, con il teatrino e il movimento meccanico degli oggetti/disturbanti, nella fantasia/mente complessa di un bambino bianchissimo in volto, circondato da suppellettili eleganti e ricchi. Il film, che tocca temi come l'arte, l'infanzia, il fondamentalismo religioso, la morte, l'educazione, presenta nella prima parte una tavolata natalizia (con tanto di camera dall'alto a descriverne i particolari) imbandita e i convenevoli ante-cena di un gruppo di consocenti ella società-bene. Il Natale è smaccatamente nordico e l'ambientazione primo novecentesca, con tanto di lanterna magica. Bergman crea una partitura che unisce al tocco della macchina da presa, la bellezza scenografica, il suono incastonato, una recitazione complessa e soprattutto l'uso-abuso del silenzio nella sua espressione più riuscita, oltre all'impostazione teatrale.
Venuto a mancare questa settimana, Mario Monicelli ci regala, nel 1992, uno dei suoi film, per chi vi scrive, più riusciti. Si tratta di "Parenti serpenti", film corale, dai tratti profondamente grotteschi, con un cinismo italiano/italiota da far paura e un finale drammatico e tristissimo. Monicelli torna in famiglia, la famiglia che si ritrova compatta a Natale. Siamo negli anni '90, la televisione impera, anche a tavola, le problematiche dei figli sono tante (forse troppe per un'unica pellicola), Sulmona risplende delle sue tradizioni (con tanto di processione e Messa di Natale), eppure l'Italia tutta, come oggi, è basata su un provincialismo belligerante, con le sorelle oche giuvile, appassionate di gossip, i fratelli rampanti investitori e sessusalmente volubili, i figli semplici strumenti di discussione, i nonni considerati palla al piede. L'Italia dei mass-media, dei modelli societari. E così che la commedia famigliare diventa una tragedia da cronaca nera, in un mondo in cui l'amore è superato dalla meschinità e dall'interesse. Monicelli crea un film piccolo, ma anche profondamente maturo e profetico dei nostri tempi.
Kubrick realizza il film conclusivo. Nostro malgrado. E "Eyes Wide shut" viene osteggiato dai critici, o almeno discusso. La storia della sua vita. Kubrick, oggi idolatrato e assunto a pieno titolo nel novero dei maestri di cinema per eccellenza, durante la sua carriera ha subito lancinanti stop e critiche ingiuste. E l'ultimo film non poteva che dividere. Piuttosto che i temi, dal sogno alla doppiezza, dalla critica borghese alla impossibilità di cogliere la realtà reale, il film offre uno spaccato visivo che rimanda immediatamente al natale. Eppure Kubrick, che del Natale aveva regalato un ritratto molto diverso nel riuscito "Full Metal Jacket", sembra disinteressato alla circoscrizione temporale. Guardando con attenzione, oltre all'assetto scenografico, e alla fotografica, con tanto di luci soffuse e calde e alberi natalizi presenti qua e là, il Natale entra in ballo nel riferimento ai più piccoli, ai figli della coppia Cruise-Kidman, con tanto di conclusione in un negozio di giocattoli, in cui viene pronunciata la battuta più importante per la comprensione del film.
"Quarto potere" è un capolavoro, un grande capolavoro, forse il capolavoro per eccellenza. ma è anche un film da guardare e riguardare mille volte. Lo proponiamo in relazione al Natale per un motivo molto semplice: pur vertendo sulla biografia di un uomo che cerca nella ricchezza e nella grandezza la sua spinta vitale, il film rimanda alle motivazioni recondite che hanno portato Charles Foster Kane alla morte in solitudine e all'avidità che sfiora la disumanità. Infatti, dopo il lungo piano sequenza inziale, in cui si verifica la dipartita del protagonista in età avanzata, c'è un non immediato raccordo, tramite la parola "Rosebud", Rosabella (la slitta), all'infanzia del personaggio, ambientata nel periodo natalizio, quando sotto una coltre di neve, in una modesta casa si decide sulla vita di un bambino strappato ai suoi cari, per diventare il più importante editore americano, magnate indiscusso. Il simbolo di questo passaggio è racchiuso nella sfera di neve che ritornerà più volte e riattiverà il ricordo dello slittino, poi dato, inconsapevolmente alle fiamme, dopo l'inventario testamentario. Ma il Natale, ufficialmente, appare altrove, quando il piccolo Kane apre il regalo dinanzi all'albero Natalizio, sotto la supervisione del suo tutore Thatcher che apostrofa un "Merry Christmas", seguito, immediatamente, dopo uno stacco, da un "Happy New Year", in età adulta. Welles tende a proporre una visione an doppia faccia del periodo, come simbolo di inizio/fine infanzia.
"Brazil" è il film manifesto della genialità di Terry Gilliam, un film folle e complesso, articolato su più piani narrativi, in cui domina il cinismo, il patchwork, il collage, l'analisi, la summa di temi, il continuo amarcord, l'insorgenza nel passato nel futuro. Orwell, ma non solo, anche il sistema totalitario, il "no-sense". Un mondo di chirurgia estetica, di burocratizzazione, di eugenetica. Un mondo del genere, con i bambini che usano armi come giocattoli, e dove il giudizio processuale è sostituito da un fantomatico centro di Informazioni, dove il Natale appare uno sfondo di imprudente remeggiare verso il capitalismo insensibile ed ambizioso (una bambina chiede una carta di credito personale) e ci si difende a proprie spese, dalle fasi preliminari a quelle di tortura, potendo essere agevolati solo con il versamento di contanti, è un mondo alla deriva. “La Verità rende liberi”, recita la targhetta sotto la statua di San Paolo. Continuiamo a credere che la “Libertà renda liberi”. Gilliam spacca e varia.
"Scrivimi, Fermo Posta" è uno dei primi film di Ernst Lubitsch in terra Straniera. Uscito nel 1940, con James Stewart e Margaret Sullivan, da un soggetto evidentemente teatrale (e la dimensione interna è sia di impostazione narrativa che di esigenze produttive, in piena età dell'oro), si tratta di una commedia brillante, disseminata da picchi di romanticismo. Il tipico scontro tra sessi è acuito da diversa angolazione economica dei personaggi coinvolti e da una costante normalità della sceneggiatura, che mostra un negozio "dietro l'angolo" (The shop around the corner) animarsi di tante situazioni amorose, in prossimità del natale. Lubitsch giganteggia per grazia e rende ineguagliabile l'eleganza di Stewart, un damerino vero e proprio.
Altro classico, altro regista da "commedia dell'oro". "La vita è meravigliosa" è uno dei veri inni al Natale e al suo spirito, forse uno dei film più mielosi del regista, non privi, però, di quel retrogusto amarognolo, con tanto di salvataggio in extremis, che ne faranno un simbolo autoriale anche in epoca successiva, quando l'happy ending deelle sue opere sarà visto come un tentativo di non perdere il proprio carattere popolare piuttosto che vera cifra stilistica. E' una parabola dell'ottimismo, in piena età post-New Deal, con tanto di rappresentazione riuscita del crollo delle borse per bolla speculativa nel 1929. Sebbene non sia un film che, soggettivamente, riesca a trascinarmi del tutto, in maniera oggettiva è un grande masterpiece di carattere valoriale e di importanza storica decisiva. Capra, infatti, non si limita a narrare la storia di una famiglia, ma racconta la storia di un popolo, attraverso le sue varie fasi, creando una piccola epopea di 130 minuti ricca di momenti bellissimi e di rara finezza nella capacità narrativa. Stewart e Donna Reed nei ruoli principali, ma a stupire è l'Henry Potter di Lionel Barrymore.
E' considerata la pellicola testamentaria di Ingmar Bergman per varie ragioni, non solo tematiche. Il film, infatti, è l'ultimo vero capolavoro del regista in termini cinematografici. Dal 1982 al 2007, data della sua morte, solo altri due prodotti minori usciranno in sala e Bergman si sarebbe dedicato solo alla regia televisiva e alla sceneggiatura. Pensate che "Fanny e Alexander" doveva durare 5 ore ed essere trasmesso come produzione televisiva. Bergman, in realtà, crea un grande capolavoro, visivamente affascinante, capace di oltrepassare il concetto stesso di "cinema bergmaniano" e di gettare le basi tra la produzione iniziale e i riferimenti coltissimi del regista. Bergman parte con una sequenza meravigliosa, lunghissima, che è insieme di presentazione dei caratteri e dei temi, con il teatrino e il movimento meccanico degli oggetti/disturbanti, nella fantasia/mente complessa di un bambino bianchissimo in volto, circondato da suppellettili eleganti e ricchi. Il film, che tocca temi come l'arte, l'infanzia, il fondamentalismo religioso, la morte, l'educazione, presenta nella prima parte una tavolata natalizia (con tanto di camera dall'alto a descriverne i particolari) imbandita e i convenevoli ante-cena di un gruppo di consocenti ella società-bene. Il Natale è smaccatamente nordico e l'ambientazione primo novecentesca, con tanto di lanterna magica. Bergman crea una partitura che unisce al tocco della macchina da presa, la bellezza scenografica, il suono incastonato, una recitazione complessa e soprattutto l'uso-abuso del silenzio nella sua espressione più riuscita, oltre all'impostazione teatrale.
Venuto a mancare questa settimana, Mario Monicelli ci regala, nel 1992, uno dei suoi film, per chi vi scrive, più riusciti. Si tratta di "Parenti serpenti", film corale, dai tratti profondamente grotteschi, con un cinismo italiano/italiota da far paura e un finale drammatico e tristissimo. Monicelli torna in famiglia, la famiglia che si ritrova compatta a Natale. Siamo negli anni '90, la televisione impera, anche a tavola, le problematiche dei figli sono tante (forse troppe per un'unica pellicola), Sulmona risplende delle sue tradizioni (con tanto di processione e Messa di Natale), eppure l'Italia tutta, come oggi, è basata su un provincialismo belligerante, con le sorelle oche giuvile, appassionate di gossip, i fratelli rampanti investitori e sessusalmente volubili, i figli semplici strumenti di discussione, i nonni considerati palla al piede. L'Italia dei mass-media, dei modelli societari. E così che la commedia famigliare diventa una tragedia da cronaca nera, in un mondo in cui l'amore è superato dalla meschinità e dall'interesse. Monicelli crea un film piccolo, ma anche profondamente maturo e profetico dei nostri tempi.
Kubrick realizza il film conclusivo. Nostro malgrado. E "Eyes Wide shut" viene osteggiato dai critici, o almeno discusso. La storia della sua vita. Kubrick, oggi idolatrato e assunto a pieno titolo nel novero dei maestri di cinema per eccellenza, durante la sua carriera ha subito lancinanti stop e critiche ingiuste. E l'ultimo film non poteva che dividere. Piuttosto che i temi, dal sogno alla doppiezza, dalla critica borghese alla impossibilità di cogliere la realtà reale, il film offre uno spaccato visivo che rimanda immediatamente al natale. Eppure Kubrick, che del Natale aveva regalato un ritratto molto diverso nel riuscito "Full Metal Jacket", sembra disinteressato alla circoscrizione temporale. Guardando con attenzione, oltre all'assetto scenografico, e alla fotografica, con tanto di luci soffuse e calde e alberi natalizi presenti qua e là, il Natale entra in ballo nel riferimento ai più piccoli, ai figli della coppia Cruise-Kidman, con tanto di conclusione in un negozio di giocattoli, in cui viene pronunciata la battuta più importante per la comprensione del film.
"Quarto potere" è un capolavoro, un grande capolavoro, forse il capolavoro per eccellenza. ma è anche un film da guardare e riguardare mille volte. Lo proponiamo in relazione al Natale per un motivo molto semplice: pur vertendo sulla biografia di un uomo che cerca nella ricchezza e nella grandezza la sua spinta vitale, il film rimanda alle motivazioni recondite che hanno portato Charles Foster Kane alla morte in solitudine e all'avidità che sfiora la disumanità. Infatti, dopo il lungo piano sequenza inziale, in cui si verifica la dipartita del protagonista in età avanzata, c'è un non immediato raccordo, tramite la parola "Rosebud", Rosabella (la slitta), all'infanzia del personaggio, ambientata nel periodo natalizio, quando sotto una coltre di neve, in una modesta casa si decide sulla vita di un bambino strappato ai suoi cari, per diventare il più importante editore americano, magnate indiscusso. Il simbolo di questo passaggio è racchiuso nella sfera di neve che ritornerà più volte e riattiverà il ricordo dello slittino, poi dato, inconsapevolmente alle fiamme, dopo l'inventario testamentario. Ma il Natale, ufficialmente, appare altrove, quando il piccolo Kane apre il regalo dinanzi all'albero Natalizio, sotto la supervisione del suo tutore Thatcher che apostrofa un "Merry Christmas", seguito, immediatamente, dopo uno stacco, da un "Happy New Year", in età adulta. Welles tende a proporre una visione an doppia faccia del periodo, come simbolo di inizio/fine infanzia.
"Brazil" è il film manifesto della genialità di Terry Gilliam, un film folle e complesso, articolato su più piani narrativi, in cui domina il cinismo, il patchwork, il collage, l'analisi, la summa di temi, il continuo amarcord, l'insorgenza nel passato nel futuro. Orwell, ma non solo, anche il sistema totalitario, il "no-sense". Un mondo di chirurgia estetica, di burocratizzazione, di eugenetica. Un mondo del genere, con i bambini che usano armi come giocattoli, e dove il giudizio processuale è sostituito da un fantomatico centro di Informazioni, dove il Natale appare uno sfondo di imprudente remeggiare verso il capitalismo insensibile ed ambizioso (una bambina chiede una carta di credito personale) e ci si difende a proprie spese, dalle fasi preliminari a quelle di tortura, potendo essere agevolati solo con il versamento di contanti, è un mondo alla deriva. “La Verità rende liberi”, recita la targhetta sotto la statua di San Paolo. Continuiamo a credere che la “Libertà renda liberi”. Gilliam spacca e varia.
scelte più che condivise, ottimo gusto.
RispondiEliminatra l'altro quello di bergman è da un pezzo che ce l'ho lì pronto da vedere...
bravo, Parenti serpenti non è opera minore, l'hai valorizzata come merita
ciao :)
grazie! Bergman è da vedere, magari in pieno periodo natalizio, è visivamente fantastico...Ma mi sa che ne faccio una seconda parte, ce ne sono tanti, troppi davvero belli. "Parenti serpenti" a me è piaciuto molto soprattutto per la rappresentazione di Sulmona....Buona Domenica.
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