Pur non potendo partorire, essendo un maschio, Wiseman ha il coraggio di mettere al mondo un numero congruo di documentari sul mondo che lo circonda e che lo colpisce. E così costruisce una carriera da una vita. Per poter comprendere il mondo di Wiseman si deve partire dall'assunto che della narrazione/narratività al regista non importa nulla. I suoi film sono a-narattivi, a-politici. Non trovate un Wiseman che denuncia, ma quanto più un Wiseman che vive e pulsa nelle proprie riprese, direttamente o meno. Il cinema diventa una terapia o meglio uno stato di immanenza che viene messo "on stage". Per capire Wiseman sarebbe opportuno conoscere il suo tipo di lavoro preparatorio, la sua organizzazione e pianificazione, le sue scelte di montaggio. Per molti versi, senza una specifica ammissione, è veramente difficile capire quale sia il confine tra genialità immanente e messa in scena accuratissima. Non parlo di emotività, evidente e legata alle percezioni personali, nè di realismo, ma della capacità visiva. Wiseman riprende spettacoli veri, esibizioni del mondo della danza, con angolazioni complesse, che sembrano frutto di lavoro ricercato, ma poi riesce a mostrarsi parimenti articolato nella mano quando è un semplice e curioso descrittore del dietro le quinte. Dove sta il confine tra premeditazione visiva e allestimento? E qual è il vero il peso del montaggio inteso come possibilità di usufruire del girato? Quanto gira Wiseman e quanto monta? A differenza dei cineasti moderni, il suo è un cinema potenzialmente infinito, che non richiede un canovaccio, una scrittura, una battuta, ma racchiude dentro di sè un mondo interiore, che è una riflessione personale, senza per questo diventare un punto di vista. In Wiseman non c'è la critica, nè una semplice descrizione. Piuttosto c'è un uomo che gira e trova nel lavoro documentaristico una possibilità di confronto-espressione molto più realistica ed emotivamente pregnante del cinema di finzione. E il suo è un lavoro analitico più su stesso che su quello che vede. E la prospettiva di Pierre Lacotte o di Laëtitia Pujol diventa un semplice "lavoro", l'arte non si nutre di arte, ma al massimo di fatica. Chissà se Wiseman, da artista, fatica parimenti e non fa altro che mostrarci il suo lavoro preparatorio ad un film che è la sua vita?
Pur non potendo partorire, essendo un maschio, Wiseman ha il coraggio di mettere al mondo un numero congruo di documentari sul mondo che lo circonda e che lo colpisce. E così costruisce una carriera da una vita. Per poter comprendere il mondo di Wiseman si deve partire dall'assunto che della narrazione/narratività al regista non importa nulla. I suoi film sono a-narattivi, a-politici. Non trovate un Wiseman che denuncia, ma quanto più un Wiseman che vive e pulsa nelle proprie riprese, direttamente o meno. Il cinema diventa una terapia o meglio uno stato di immanenza che viene messo "on stage". Per capire Wiseman sarebbe opportuno conoscere il suo tipo di lavoro preparatorio, la sua organizzazione e pianificazione, le sue scelte di montaggio. Per molti versi, senza una specifica ammissione, è veramente difficile capire quale sia il confine tra genialità immanente e messa in scena accuratissima. Non parlo di emotività, evidente e legata alle percezioni personali, nè di realismo, ma della capacità visiva. Wiseman riprende spettacoli veri, esibizioni del mondo della danza, con angolazioni complesse, che sembrano frutto di lavoro ricercato, ma poi riesce a mostrarsi parimenti articolato nella mano quando è un semplice e curioso descrittore del dietro le quinte. Dove sta il confine tra premeditazione visiva e allestimento? E qual è il vero il peso del montaggio inteso come possibilità di usufruire del girato? Quanto gira Wiseman e quanto monta? A differenza dei cineasti moderni, il suo è un cinema potenzialmente infinito, che non richiede un canovaccio, una scrittura, una battuta, ma racchiude dentro di sè un mondo interiore, che è una riflessione personale, senza per questo diventare un punto di vista. In Wiseman non c'è la critica, nè una semplice descrizione. Piuttosto c'è un uomo che gira e trova nel lavoro documentaristico una possibilità di confronto-espressione molto più realistica ed emotivamente pregnante del cinema di finzione. E il suo è un lavoro analitico più su stesso che su quello che vede. E la prospettiva di Pierre Lacotte o di Laëtitia Pujol diventa un semplice "lavoro", l'arte non si nutre di arte, ma al massimo di fatica. Chissà se Wiseman, da artista, fatica parimenti e non fa altro che mostrarci il suo lavoro preparatorio ad un film che è la sua vita?
Commenti
che bello che dev'essere questo film!
RispondiEliminame lo cerco subito, grazie