Osteggiato da un numero congruo di critici, soprattutto nel belpaese, "The american" è un film con molte frecce al suo arco. L'atmosfera predominante è l'attesa, un'attesa lunga un film. Non riesco a capire le critiche sull'impianto della pellicola, giudicato noioso. Perchè "The American" non è il prodotto standard Hollywoodiano, che deve essere per logiche commerciali adrenalinico e potente. E' un film, girato dall'artista multiforme Anton Corbijn, regista olandese, ambientato in Italia, nell'Abruzzo visivamente affascinante e congelato post-Terremoto, con molte concessioni a logiche tipicamente del nostro modo continentale di approcciare all'arte cinematografica, con nudi e scene di sesso esplicite. Dire che "The American" sia un prodotto noioso equivale semplicemente a non apprezzare un cinema che, nel thriller (e la sequenza finale è da antologia vera e propria), non sia caratterizzato da schemi tipicamente Hollywoodiani e luoghi comuni imperanti. Detto in parole povere, "The american" è noioso perchè lento, ambiguo, non centrato e senza un'unica forma. Una posizione discutibile. Se c'è una cosa che manca a "The American" è proprio la volontà di osare maggiormente e di ridurre ancor di più il parlato, in modo da trasmettere un'interpretazione più viscerale, empatica con uno sfondo naturalistico che è insieme splendido e drammatico. L'Italia, solitamente alla berlina nel cinema straniero ("Mangia, prega, ama" è un'offesa all'intelligenza umana e artistica di un paese che Ryan Murphy farebbe meglio ad evitare di rappresentare), ne esce senza stereotipi o critiche. E' presente ma non macchiettistica. Anche la Placido riesce a dare quel tocco di eleganza e sobrietà passionale molto diversi dai luoghi comuni sulla bellezza mediterranea. Timi ci sa fare, anche se il suo ruolo è troppo dissonante e limitato. Paolo Bonacelli è credibile, ma il character è troppo "grillo parlante". Nel cast anche una splendida Irina Björklund, scelta con arguzia dal regista. Bene anche George Clooney, per nulla spaesato, nonostante il ritmo di recitazione non gli sia molto congeniale. Il film non è un capolavoro, ma un interessante e sperimentale modo di approcciarsi all'eterogeneità del cinema occidentale.
Osteggiato da un numero congruo di critici, soprattutto nel belpaese, "The american" è un film con molte frecce al suo arco. L'atmosfera predominante è l'attesa, un'attesa lunga un film. Non riesco a capire le critiche sull'impianto della pellicola, giudicato noioso. Perchè "The American" non è il prodotto standard Hollywoodiano, che deve essere per logiche commerciali adrenalinico e potente. E' un film, girato dall'artista multiforme Anton Corbijn, regista olandese, ambientato in Italia, nell'Abruzzo visivamente affascinante e congelato post-Terremoto, con molte concessioni a logiche tipicamente del nostro modo continentale di approcciare all'arte cinematografica, con nudi e scene di sesso esplicite. Dire che "The American" sia un prodotto noioso equivale semplicemente a non apprezzare un cinema che, nel thriller (e la sequenza finale è da antologia vera e propria), non sia caratterizzato da schemi tipicamente Hollywoodiani e luoghi comuni imperanti. Detto in parole povere, "The american" è noioso perchè lento, ambiguo, non centrato e senza un'unica forma. Una posizione discutibile. Se c'è una cosa che manca a "The American" è proprio la volontà di osare maggiormente e di ridurre ancor di più il parlato, in modo da trasmettere un'interpretazione più viscerale, empatica con uno sfondo naturalistico che è insieme splendido e drammatico. L'Italia, solitamente alla berlina nel cinema straniero ("Mangia, prega, ama" è un'offesa all'intelligenza umana e artistica di un paese che Ryan Murphy farebbe meglio ad evitare di rappresentare), ne esce senza stereotipi o critiche. E' presente ma non macchiettistica. Anche la Placido riesce a dare quel tocco di eleganza e sobrietà passionale molto diversi dai luoghi comuni sulla bellezza mediterranea. Timi ci sa fare, anche se il suo ruolo è troppo dissonante e limitato. Paolo Bonacelli è credibile, ma il character è troppo "grillo parlante". Nel cast anche una splendida Irina Björklund, scelta con arguzia dal regista. Bene anche George Clooney, per nulla spaesato, nonostante il ritmo di recitazione non gli sia molto congeniale. Il film non è un capolavoro, ma un interessante e sperimentale modo di approcciarsi all'eterogeneità del cinema occidentale.
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