"Welcome" non ha la pretesa di essere un manifesto politico, tantomeno un'elaborazione costruttiva di risoluzione del problema "immigrazione". E', d'altronde, l'altra faccia della medaglia, quella che si nasconde dietro provocazioni e richieste, dietro autoritarismi e assoluto disprezzo. Esiste un tam-tam di notizie, di asserzioni, di proclami, di dichiarazioni. Ed è la politica, a volte disumana e impersonale. Poi c'è la realtà, l'individualità, la storia, le storie, il dolore nei dolori. E la prospettiva cambia, anche per chi la guarda. Loiret costruisce un piccolo masterpiece dell'incontro fortuito e ne fa un riuscito dramma della frontiera, non assecondando lo stereotipo civile, ma raccontando una storia modulare ben intrecciata e soprattutto potentemente umana, fino a sfiorare la poesia del viaggio-morte, nella traversata del viaggio-vita. E' una storia di amore, ma anche d'egoismo, ed è una storia paterna quanto sentimentale. Loiret lima il tutto in modo rigoroso per la prima ora, poi interviene nel soggetto per dargli una prospettiva più sentita. E riesce, magistralmente, a limitare il melenso e l'ovvio, attraverso una recitazione naturale. Mai come in questo caso, ho trovato un'empatia così forte sullo schermo, come quella esistente tra Vincent Lindon, attore di fama del cinema francese che conta e che evita la banalità, e Firat Ayverdi, che interpreta il giovane curdo giunto in Francia. La tensione emotiva si accompagna ad una certa complessità dei fotogrammi, in molti casi vicini ad un realismo chiaro, trasposto nell'ottica cinematografica, però, evitando riprese furtive, veloci, a scatti, che scavano nel lungo intervallo tra nerorealismo e "Sundance-style", e avvicinandosi più ad uno stile moderno di perizia e mestiere. Un film degno di essere definito tale.
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