La Coppola alla seconda prova. Sofia, dopo "Il giardino delle vergini suicide", si impone per stile e personalità. "Lost in traslation" è un film di silenzi, silenzi di incomunicabilità e di finzione. E' un film di sguardi, sgaurdi aperti al mondo e chiusi dietro il vetro di finestre d'albergo. E' un film di incontri, di scontri casuali e di solitudine dopo il contatto. E' un film di culture, laddove diventano contatto con il mondo personale, di alberghi lussuosi e di spot televisivi, di arte e della sua mercificazione, di critica e di apertura. La Coppola, nelle sale con "Somewhere", non aspira alla denuncia ma aspira alla poesia. La poesia amara, ripetitiva, il verso costante, lo stile riconoscibile, la penna (la macchina da presa) di vecchia fattura, donatale dal padre. In molti l'hanno criticata, in questi giorni, per essere sempre la stessa. Come se una persona si svegliasse e creasse un nuovo mondo interiore/artistico dal nulla. Lo stile è una prerogativa troppo importante per un regista. La poetica la sua peculiarità. La Coppola è un'autrice perchè espone sè stessa in prima persona, e nei suoi film, pittosto che rivelare un mondo che non conosce, rivela il suo mondo, che può essere ossessivo e ripetitivo, noioso e artefatto, ma è espressione della sua anima. Ogni film è un pezzetto di sè stessa, ma mai la verità totale, e così come con la Johansson e Bill Murray, grandiosi in questa interpretazione di una donna e un uomo spinti dalla gravità della solitudine ad avvicinarsi, Sofia Coppola è una grande direttrice di attori, una consigliera. Non mi stupisce che il protagonista di "Somewhere", Stephen Dorff, abbia verso di lei manifestato una sorta di dipendenza, fino al malessere dopo aver concluso le riprese. Il lavoro che fa con gli attori è parte evidente del girato che ci propone. Piuttosto che lasciarli in alto mare, la Coppola ha un'idea chiarissima dei suoi personaggi e lascia all'attore la possibilità di interpretazione originale e individuale, partendo da quello che vuole, e facendo emergere, come una levatrice, ciò che possa garantire un compromesso notevole tra la sua esigenza e l'autonomia del suo attore. Nel caso di "Lost in traslation", la grandezza di Bill Murray, nota per i caratteri ivolontariamente comici e surreali, si affida a delle sfumature agrodolci che sono della Coppola. E Scarlett Johansson sembra un'adolescente, più bella che mai, meno segnata dalla volgarità della donna fatale, pura e limpida. La Coppola interviene spesso sulle sue attrici e, di norma, identifica nel candore del viso una purezza efebica che è una costante del suo cinema. E' un ritorno costante al tema dell'adolescente, da noi già sviluppato altrove. "Lost in Traslation" , che dicono essere il padre di "Somewhere", ha il merito di esprimere nel silenzio l'emozione e nel discorso il nulla di ciò che è oltre l'emozione. Magnifico.
La Coppola alla seconda prova. Sofia, dopo "Il giardino delle vergini suicide", si impone per stile e personalità. "Lost in traslation" è un film di silenzi, silenzi di incomunicabilità e di finzione. E' un film di sguardi, sgaurdi aperti al mondo e chiusi dietro il vetro di finestre d'albergo. E' un film di incontri, di scontri casuali e di solitudine dopo il contatto. E' un film di culture, laddove diventano contatto con il mondo personale, di alberghi lussuosi e di spot televisivi, di arte e della sua mercificazione, di critica e di apertura. La Coppola, nelle sale con "Somewhere", non aspira alla denuncia ma aspira alla poesia. La poesia amara, ripetitiva, il verso costante, lo stile riconoscibile, la penna (la macchina da presa) di vecchia fattura, donatale dal padre. In molti l'hanno criticata, in questi giorni, per essere sempre la stessa. Come se una persona si svegliasse e creasse un nuovo mondo interiore/artistico dal nulla. Lo stile è una prerogativa troppo importante per un regista. La poetica la sua peculiarità. La Coppola è un'autrice perchè espone sè stessa in prima persona, e nei suoi film, pittosto che rivelare un mondo che non conosce, rivela il suo mondo, che può essere ossessivo e ripetitivo, noioso e artefatto, ma è espressione della sua anima. Ogni film è un pezzetto di sè stessa, ma mai la verità totale, e così come con la Johansson e Bill Murray, grandiosi in questa interpretazione di una donna e un uomo spinti dalla gravità della solitudine ad avvicinarsi, Sofia Coppola è una grande direttrice di attori, una consigliera. Non mi stupisce che il protagonista di "Somewhere", Stephen Dorff, abbia verso di lei manifestato una sorta di dipendenza, fino al malessere dopo aver concluso le riprese. Il lavoro che fa con gli attori è parte evidente del girato che ci propone. Piuttosto che lasciarli in alto mare, la Coppola ha un'idea chiarissima dei suoi personaggi e lascia all'attore la possibilità di interpretazione originale e individuale, partendo da quello che vuole, e facendo emergere, come una levatrice, ciò che possa garantire un compromesso notevole tra la sua esigenza e l'autonomia del suo attore. Nel caso di "Lost in traslation", la grandezza di Bill Murray, nota per i caratteri ivolontariamente comici e surreali, si affida a delle sfumature agrodolci che sono della Coppola. E Scarlett Johansson sembra un'adolescente, più bella che mai, meno segnata dalla volgarità della donna fatale, pura e limpida. La Coppola interviene spesso sulle sue attrici e, di norma, identifica nel candore del viso una purezza efebica che è una costante del suo cinema. E' un ritorno costante al tema dell'adolescente, da noi già sviluppato altrove. "Lost in Traslation" , che dicono essere il padre di "Somewhere", ha il merito di esprimere nel silenzio l'emozione e nel discorso il nulla di ciò che è oltre l'emozione. Magnifico.
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