L’eroe forse più psicologicamente complesso nelle mani del regista più
promettente. Visivamente parlando, di grande impatto, ma a tratti noioso,
sbiadito, poco coinvolgente (l’eccessiva durata lo penalizza). Nella prima
parte pare di trovarsi di fronte ad un telefilm che ripercorre lo stile CSI, con
continue zoommate e flashback, e si respira la tipica atmosfera del fumetto:
riprese associate che si allargano e si restringono, fotografie che si animano,
esplosioni aggressive di colori. Ci colpisce in particolare l’ultimo elemento:
il film è una centrifuga policromatica, con associazioni strabilianti, tubi vertiginosi di colori plastici (il fucsia
e il verde sono dominanti), centrifughe multicolor spiazzanti. Il tutto
fornisce un’immagine allucinata e traumatica del protagonista. Il rimbombo
realistico del cuore dà origine alla trasformazione. Il regista tende a
penetrare nell’animo dell’eroe e vi riesce, anche se alcune scene sono una
moderna rivisitazione del King Kong tradizionale, ed il rapporto con il padre
non ha una benché minima traccia di veridicità. Ad un buon inizio, segue un
pasticciarsi continuo dell’intreccio che, trasferendosi nei laboratori ufficiali,
perde di interesse, diviene lento e borioso, poco dinamico. I personaggi si
appannano, perdono di immediatezza e si avvicinano agli X-men, mancando
però di quel carisma acceso. La regia si crogiola nel già visto, l’Hulk
computerizzato perde di credibilità. Bravo Bana, sotto le aspettative la
Connelly. Ma la cosa più grave è che Ang Lee non ci metta un pizzico di volontà, nè di cuore.
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