I pirati tornano a saccheggiare la vecchia Inghilterra, vecchia come un suppellettile d’epoca vittoriana, tanto bello da guardare quanto ingombrante nel suo uso quotidiano. Si muove come uno swing e ogni tanto cede alla classica. C’è tutto un mondo là fuori, fuori dalle case abbellite e dalle famiglie-bene. C’è tutto un mondo là fuori, di giovani rampanti, di divertimento, senza sbobba serale. I pirati tornano dopo i lunghi saccheggi e, lontani da terra, sul mare più profondo, conquistano la società inglese. Ma non sono pirati comuni, sono pirati di emancipazione, con le onde di radio indipendenti che arrivano dal mare alla terraferma. Il fenomeno delle radio private, svincolate da assoggettamenti alla morale del tempo, in grado di seguire i giovani e le loro esigenze e non di educarli, lontane miglia dalla costa, per non essere intercettate da un governo limitante e limitativo della libertà d’espressione, è uno dei più interessanti dell’epoca della relativa stabilità europea e fondamentale per il cambiamento sociale. Su una piattaforma navale un intero set. Un’intera storia che non tocca terra, i punti d’approdo tra la vita della nave e il mondo sono le scialuppe di gente che circola, nei giorni di relax, per ravvivare i deejay dopo una lunga settimana di lavoro. Casse accese, una musica vorace, una musica robusta, una musica pacchiana, una musica vivace, una musica da party, di pogate e di ballate, mentre scende il sole e la notte si trasforma in citazione (Hendrix) con le donne nude poggiate sui fianchi, ed una voce ammaliante che ne è il perno centrale. Si sentono le Supremes, Cat Stevens (“Father & Son” cade a pennello nella vicenda), i Rolling Stones e qualcosa più rock. Gli episodi si fanno grotteschi, a volte gretti. “O capitano, mio capitano”, cita l’Attimo Fuggente, ma il plotone è troppo sballato per essere romantico. A terra, capitano, c’è qualcosa che si muove. Un uomo, moralista nell’occhiale e nel modo di occultare, impegnato in una legge restrittiva contro il libertinaggio delle frequenze. “I love radio rock” è l’omaggio a quei personaggi, resi vivi da interpretazioni magnifiche, di Hoffman, ma soprattutto di Rhys Ifans, di Bill Nighy e di comparsate di Emma Thompson e Gemma Artrton. che modellarono la rivoluzione culturale, con tutte le loro forze. Non c’era l’apparire ma l’essere nei deejay di Radio Rock. Di alcuni non si conosceva neanche il volto, ma solo la voce, una voce che apriva tante storie, tanti frammenti di vite altrui. Richard Curtis enfatizza troppo alcuni tratti, ma riesce molto bene nell’operazione di definire, in ottica comica, una realtà molto più sfaccettata. A Curtis va il merito di una coralità molto più perspicace del non bello “Love Actually”. Grande la Colonna Sonora.
I pirati tornano a saccheggiare la vecchia Inghilterra, vecchia come un suppellettile d’epoca vittoriana, tanto bello da guardare quanto ingombrante nel suo uso quotidiano. Si muove come uno swing e ogni tanto cede alla classica. C’è tutto un mondo là fuori, fuori dalle case abbellite e dalle famiglie-bene. C’è tutto un mondo là fuori, di giovani rampanti, di divertimento, senza sbobba serale. I pirati tornano dopo i lunghi saccheggi e, lontani da terra, sul mare più profondo, conquistano la società inglese. Ma non sono pirati comuni, sono pirati di emancipazione, con le onde di radio indipendenti che arrivano dal mare alla terraferma. Il fenomeno delle radio private, svincolate da assoggettamenti alla morale del tempo, in grado di seguire i giovani e le loro esigenze e non di educarli, lontane miglia dalla costa, per non essere intercettate da un governo limitante e limitativo della libertà d’espressione, è uno dei più interessanti dell’epoca della relativa stabilità europea e fondamentale per il cambiamento sociale. Su una piattaforma navale un intero set. Un’intera storia che non tocca terra, i punti d’approdo tra la vita della nave e il mondo sono le scialuppe di gente che circola, nei giorni di relax, per ravvivare i deejay dopo una lunga settimana di lavoro. Casse accese, una musica vorace, una musica robusta, una musica pacchiana, una musica vivace, una musica da party, di pogate e di ballate, mentre scende il sole e la notte si trasforma in citazione (Hendrix) con le donne nude poggiate sui fianchi, ed una voce ammaliante che ne è il perno centrale. Si sentono le Supremes, Cat Stevens (“Father & Son” cade a pennello nella vicenda), i Rolling Stones e qualcosa più rock. Gli episodi si fanno grotteschi, a volte gretti. “O capitano, mio capitano”, cita l’Attimo Fuggente, ma il plotone è troppo sballato per essere romantico. A terra, capitano, c’è qualcosa che si muove. Un uomo, moralista nell’occhiale e nel modo di occultare, impegnato in una legge restrittiva contro il libertinaggio delle frequenze. “I love radio rock” è l’omaggio a quei personaggi, resi vivi da interpretazioni magnifiche, di Hoffman, ma soprattutto di Rhys Ifans, di Bill Nighy e di comparsate di Emma Thompson e Gemma Artrton. che modellarono la rivoluzione culturale, con tutte le loro forze. Non c’era l’apparire ma l’essere nei deejay di Radio Rock. Di alcuni non si conosceva neanche il volto, ma solo la voce, una voce che apriva tante storie, tanti frammenti di vite altrui. Richard Curtis enfatizza troppo alcuni tratti, ma riesce molto bene nell’operazione di definire, in ottica comica, una realtà molto più sfaccettata. A Curtis va il merito di una coralità molto più perspicace del non bello “Love Actually”. Grande la Colonna Sonora.
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