L’aspro del limone si inzuppa di
zucchero bianchissimo. E' il Caramello del titolo. Il sapore fa da sfondo alle anime che
riposano nella Beirut dei bombardamenti, delicate, leggere, sotto un alto cedro, l’ultimo
rimasto, la cui voce di vento, si trasmette agli alberi vicini.
Poetico, no?
Libano, qualcosa sa di occidentale, sembrerebbe una Sicilia
araba, una Spagna messicana. Dove finisce il confine tra liberta e dove si
impone il vizio del fondamentalismo? C’è del marcio, il
dubbio amletico su una donna ed un uomo in un’auto di un poliziotto
(saranno fidanzati? E quale sia la prova? ), c’è il moralismo vittoriano, con una festa di Anniversario
organizzata in un postribolo, casa chiusa, c’è la difficoltà della donna che ama una donna ,
c’è il velo islamico che ricopre la
testa, e nel cuore della donna si trasforma in un ossequio all’uomo padrone,
c’è un bimbetto curioso che alza la gonna di una donna, che sembra gitana,
dalla tonalità agli specchietti applicati, c’è una verginità sparita ma ricucita, c’è una Madonna
portata in processione tra fiori bianchi e rossi, mentre drappi di purezza ne
accompagnano il cammino. Il film della regista Nadine Labaki enuncia tutto ciò che può, con impeto civile e attitudine occidentale. Carino, composto, drammatico, liberatorio, femminista. Ma le "Donne senza uomini" di Shirin Neshat sono più potenti e in un quadro compositvo e stilistico di diversa fattura. Il collante del caramello, che aggrada la lingua, ma
anche, elastico e rovente, toglie dal corpo la peluria, è un leit-motiv banale. Ma soprattutto è lo stile che manca.
Commenti
Posta un commento