E' il film targato Sofia Coppola il vincitore del Leone d'Oro alla 67 edizione del Festival di Venezia. L'opera ha convinto la giuria, presieduta dall'ex-compagno Quentin Tarantino, con votazione espressa in modo unanime. Tarantino ha sottolineato, emozionatissimo, come le percezione emotive riguardo al film siano progressivamente cresciute durante il festival, al cospetto di proiezioni di altre opere. "Somewhere", ben accolto dalla stampa e dal pubblico, ha ricevuto pareri tiepidi da molti giornali e blog di settore, che gli hanno preferito "Black Swan" di Aronofsky per la potenza visiva e l'interpretazione di Natalie Portman (per molti la vera Coppa Volpi, andata all'attrice Arianne Labed per Attenberg). Il film sembra essere una sorta di analisi (freudiana per qualcuno) del rapporto tra un padre regista, circondato dalla vita vuota e vacua del nulla e del vizio (Stephen Dorff è stato riscoperto dalla Coppola), e la figlia, interpretata da Elle Fanning. E' per molti una sorta di ritorno a "Lost in Translation", il secondo film che vide la regista affermarsi come autrice e ottenere la nomination all'Oscar. Alcuni, oltre alla solita mancanza di trama, hanno identificato il riproporsi costante di medesimi contenuti racchiusi nello stile algido e soffuso, elegante e volutamente in bilico tra il sogno e la realtà, delle opere precedenti. Si è parlato, in taluni casi, di un'esplicita critica alla società Italiana, evidente nella rappresentazione grottesca del mondo televisivo, ma quest'aspetto, presente, è stato attutito dalle dichiarazioni della regista. Inoltre, alcuni giornali, impropriamente, hanno parlato di una nuova "Dolce Vita", alludendo al carattere corrosivo del sottotesto. Pur non avendo visto il film, il paragone con Fellini mi sembra sbagliato a prescindere. Tant'è che il film della Coppola è in grande distribuzione, il film di Fellini fu ritirato dalle sale. Tanto per far comprendere la portata storica di un'opera. Nell'attesa, vi invito a rileggere i post che ho dedicato alla regista, da sempre da me molto apprezzata.
http://contactcinema.blogspot.com/search?q=sofia+coppola
Allego la minicommento del "Giardino delle Vergini Suicide", suo primo film, in attesa della visione di "Somewhere" nelle sale dal 3 settembre.
Ambientazione 60’s per la prima regia di Sofia Coppola. Dalle socchiuse finestre che celano ombre di fantasmi perlati, di una villa della
middle-class americana, si intravede lo sguardo di tante fanciulle, bambole
di porcellana a cui è negato il barlume sublime della sessualità, lucciole di
una luminosità sempre più eterea fino a svanire nel nulla, rose di un rosso
sanguigno tumefatto in crepe dissanguate nella recisione di una vita che non
fiorisce ma appassisce, in un istante, pronte a spiccare un volo per il quale è
impossibile il ritorno, è certo il naufragio. Vanno via ad una ad una, come,
interiormente, lapidate, con sassi aguzzi che dilaniano membra sottili,
dissanguando il chiarore della loro bellezza, con la pelle biancastra, pallida,
gli occhi malinconici del taciuto. Il male di vivere esplode nell’interiorità,
psicologicamente turbata, inerme, in un contesto profondamente avviluppato
a credenze etiche e religiose che rappresentano motivo di chiusura forzata
alle gioie dell’adolescenza, alle gioie della naturalità. Le privazioni ostentate
non sono il fulcro del film, che non vuole esprimere un’aperta condanna alla
famiglia (realmente esistita) delle vergini, quanto piuttosto aprire le porte
sul malessere adolescenziale, sull’entità di un fenomeno grave e cocente
come il suicidio giovanile (anche se i reportage giornalistici sono enfatici
j’accuse), sulle pruriginose paure sessuali. Il tutto condensato nell’atmosfera
pre-rivoluzionaria, con i dischi in vinile delle più note band rock che girano
a palla tra risa e lacrime , le pettinature “beatlesiane”, qualche tocco di popart
negli arredamenti, toni pastello nei vestiti di angeli femminili, pantaloni
stretti e dolcevita per i compagni di gioco e d’amore filtrati. Spaccato
generazionale esaustivo in cui la regista graffia, e le giovani angeliche diventano Lolite, in un mondo sessuofobico.
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