L'uomo nero

Sergio Rubini salverà il cinema italiano? Probabilmente No! Ma non perchè a Rubini manchi la bravura e il talento, quanto perchè il nostro è un sistema strano, usurato, e Rubini non fa parte di quella cerchia limitata di cineasti osannati dalla critica e adulati dall'opinione pubblica, gossip compreso, in genere. Eppure, a parte qualche evidente colpo di sonno (per non dire d'occhio, dal titolo di una sua opera poco riuscita), Rubini è uno dei pochi ultimi gemiti della commedia all'Italiana, quella commedia che vira verso Germi, con il suo retrogusto acido, e le sue aneddotiche grottesche, senza dimenticare un bagaglio culturale, quello pugliese, che ormai rappresenta un pò la mancanza di omologazione e il carattere distintivo e originario del nostro Sud e dell'Italia intera. Nell'ultimo film, Rubini diventa un pò Tornatore, rievoca con un lungo flashback, la storia di un padre ma, evitando sia la macchietta che lo stereotipo, dona quel carattere fugace di leggerezza che maschera il dramma e in grado di non appesantire nè di dilatare l'intreccio e far scorgere ogni minimo particolare di un autobiografismo calligrafico alla "Baarìa". Rubini unisce la componente della rilettura storico-biografica, alla maniera del Fellini di "Amarcord", tacendo la dimensione non direttamente individuale, e creando una serie di caratteri famigliari legati tra loro dalle "patologie" delle relazioni umane, sostenute da un affetto fortissimo. Non è un film melenso, ma un'opera analitica sulla funzionalità problematica della cellula famigliare, che, oltre alla farsa e al dramma-commedia, contiene un'analisi spietata del mondo che circonda l'opera dell'artista. La critica, rappresentazione della stoltezza ma anche della retorica condizionante (sopraffina la sequenza di distruzione dell'arte rinnegata), ne esce con le ossa rotte, in un impeto che ha la violenza di un manifesto letterario contro ogni regola, e l'artista diventa un disadattato maniaco-ossessivo, la copia diventa l'originale, la verità la sua antifrasi, l'allucinazione la realtà. Troppo forse, ma con la bravura di chi crede fermamente in ciò che fa, e con un cast perfetto, un ritmo veloce e qualche cromia antica e calda che rasserena.

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