Galline in fuga
Quando la Dreamworks era ancora un’oasi felice di sperimentazione, “Galline in fuga” fu un’operazione colossale in stop-motion. Tecnica impervia e difficile da realizzare, richiede un’accuratezza e una creatività che non va sempre a braccetto con le tecnologie moderne, anche se di questi tempi è tornata di moda, in correlazione all’incedere vorace del 3-D (Coraline e una lunga serie). “Galline in fuga” è, in primis, una storia che si presta a molteplici letture, sofisticata come solo l’umorismo british sa essere (dai creatori di Wallace & Gromit), semplice come un cartoon elementare, anche se non diretto, a livello di target, ai più piccoli, dinamico come una storia di fuga da una brutta realtà, statico come solo un’operazione di scrittura perfetta, attenta al minimo particolare, sa reggere. Galline da pollicoltura. Il luogo di allevamento, filo spinato a circondarlo, è un centro di detenzione vero e proprio con classici modelli carcerari, dalle file di ispezione alle verifiche di comportamento, con un bloc-notes dove scrivere, con semplici segni, la frequenza di produzione della materia prima, l’uovo, che diventa, da una parte, il mezzo di sopravvivenza, dall’altra, dall’altra, il modello impositivo posto dagli uomini, nella loro raffigurazione meno positiva, con una donna che ha la fisionomia di una badante senza cuore, toupè e segni di una magrezza marcata, ed un uomo succube che subisce le angherie delle stesse galline, pronte ad approfittarsene del suo essere tonto e dell’assoluta mancanza di un ruolo in ambito famigliare, tanto che più che lo sposo sembra lo sguattero. Al centro della scena, alcune galline con tratti ben definiti, dalla sciocca portata all’eccesso che, di tanto in tanto, ha un’esclamazione sensata, alla precisione della matematica occhialuta e riccioluta, alla fragorosa insistenza della più vecchia e più pompata, quasi che il suo mangime fosse carico di steroidi, al gallo cedrone che ha viaggiato sulla Royal Air Force e che valori netti, passatisti e un comportamento che diventa astioso. L’unica gallina che mostra un grande equilibrio è Gaia, occhi spiritati, più aguzzi, di plastilina, come ogni elemento della costruzione filmica, grande interesse per una libertà incondizionata, fuori dalle grinfie umane, in un luogo di speranza, fautrice di un modello di vicinanza altrui fortissimo, con la volontà di mantenere unito nella sorte l’intero gallinaio, ideazione di progetti complessi, geniali, non attuati per l’inettitudine delle sue compagne, troppo buffe e poco intelligente, gravate da un corpo per nulla snello, soggetto in una seconda fase all’ingrasso calibrato per sfornarne pasticci. Gaia è un po’ il sindaco dell’allevamento, e la fuga il suo principale, forse unico, progetto inserito nel suo programma da attuare. Arriva un altro gallo, aitante, che ha il nome del famoso pugile cinematografico, Rocky, e che giunge con un volo vero e proprio nella comunità di galline, in fuga, anch’esso, dai soprusi di un circo in cui è protagonista. Rocky è un gallo privo di scrupoli, con un certo aplomb, una certa facilità ad essere servito ed una scarsa ammissione dei propri limiti. Inizia, a questo punto, l’avventura del volo che si concretizza nella creazione di un velivolo vero e proprio, mentre ci si sottrae alle angherie della donna con il suo nuovissimo aggeggio crea-pasticci. “Galline in fuga” è intelligente e riflessivo. Consigliato agli amanti dei film ambientati in prigionia, agli amanti del genere stop-motion, o meglio, del suo esponente più conosciuto, Henry Selick, autore di Coraline, e unico regista odierno di genere, agli adulti.
Teniamo in conto che il film, sceneggiato con cura, tanto da concludersi con un quesito che affonda le proprie radici nella filosofia, è una sorta di ricostruzione animata dei lager totalitari, in cui precise ripartizioni dei ruoli e una medesima impostazione di ferrea eliminazione, basata sulla rendita di ogni gallina, condiziona l'agire umano, rappresentato come un grottesco atto di forza, a cui opporre la poesia pragmatica dell'azione comunitaria. il film è un rimando di citazioni, ma è anche un prodotto rigenerativo, allusivo e nuovo, soprattutto nell'arguzia dei creatori di creare un sottotesto analitico importante quanto la narrazione, la quale a sua volta soddisfa le aspettative dei bambini. Un cult.
Quando la Dreamworks era ancora un’oasi felice di sperimentazione, “Galline in fuga” fu un’operazione colossale in stop-motion. Tecnica impervia e difficile da realizzare, richiede un’accuratezza e una creatività che non va sempre a braccetto con le tecnologie moderne, anche se di questi tempi è tornata di moda, in correlazione all’incedere vorace del 3-D (Coraline e una lunga serie). “Galline in fuga” è, in primis, una storia che si presta a molteplici letture, sofisticata come solo l’umorismo british sa essere (dai creatori di Wallace & Gromit), semplice come un cartoon elementare, anche se non diretto, a livello di target, ai più piccoli, dinamico come una storia di fuga da una brutta realtà, statico come solo un’operazione di scrittura perfetta, attenta al minimo particolare, sa reggere. Galline da pollicoltura. Il luogo di allevamento, filo spinato a circondarlo, è un centro di detenzione vero e proprio con classici modelli carcerari, dalle file di ispezione alle verifiche di comportamento, con un bloc-notes dove scrivere, con semplici segni, la frequenza di produzione della materia prima, l’uovo, che diventa, da una parte, il mezzo di sopravvivenza, dall’altra, dall’altra, il modello impositivo posto dagli uomini, nella loro raffigurazione meno positiva, con una donna che ha la fisionomia di una badante senza cuore, toupè e segni di una magrezza marcata, ed un uomo succube che subisce le angherie delle stesse galline, pronte ad approfittarsene del suo essere tonto e dell’assoluta mancanza di un ruolo in ambito famigliare, tanto che più che lo sposo sembra lo sguattero. Al centro della scena, alcune galline con tratti ben definiti, dalla sciocca portata all’eccesso che, di tanto in tanto, ha un’esclamazione sensata, alla precisione della matematica occhialuta e riccioluta, alla fragorosa insistenza della più vecchia e più pompata, quasi che il suo mangime fosse carico di steroidi, al gallo cedrone che ha viaggiato sulla Royal Air Force e che valori netti, passatisti e un comportamento che diventa astioso. L’unica gallina che mostra un grande equilibrio è Gaia, occhi spiritati, più aguzzi, di plastilina, come ogni elemento della costruzione filmica, grande interesse per una libertà incondizionata, fuori dalle grinfie umane, in un luogo di speranza, fautrice di un modello di vicinanza altrui fortissimo, con la volontà di mantenere unito nella sorte l’intero gallinaio, ideazione di progetti complessi, geniali, non attuati per l’inettitudine delle sue compagne, troppo buffe e poco intelligente, gravate da un corpo per nulla snello, soggetto in una seconda fase all’ingrasso calibrato per sfornarne pasticci. Gaia è un po’ il sindaco dell’allevamento, e la fuga il suo principale, forse unico, progetto inserito nel suo programma da attuare. Arriva un altro gallo, aitante, che ha il nome del famoso pugile cinematografico, Rocky, e che giunge con un volo vero e proprio nella comunità di galline, in fuga, anch’esso, dai soprusi di un circo in cui è protagonista. Rocky è un gallo privo di scrupoli, con un certo aplomb, una certa facilità ad essere servito ed una scarsa ammissione dei propri limiti. Inizia, a questo punto, l’avventura del volo che si concretizza nella creazione di un velivolo vero e proprio, mentre ci si sottrae alle angherie della donna con il suo nuovissimo aggeggio crea-pasticci. “Galline in fuga” è intelligente e riflessivo. Consigliato agli amanti dei film ambientati in prigionia, agli amanti del genere stop-motion, o meglio, del suo esponente più conosciuto, Henry Selick, autore di Coraline, e unico regista odierno di genere, agli adulti.
Teniamo in conto che il film, sceneggiato con cura, tanto da concludersi con un quesito che affonda le proprie radici nella filosofia, è una sorta di ricostruzione animata dei lager totalitari, in cui precise ripartizioni dei ruoli e una medesima impostazione di ferrea eliminazione, basata sulla rendita di ogni gallina, condiziona l'agire umano, rappresentato come un grottesco atto di forza, a cui opporre la poesia pragmatica dell'azione comunitaria. il film è un rimando di citazioni, ma è anche un prodotto rigenerativo, allusivo e nuovo, soprattutto nell'arguzia dei creatori di creare un sottotesto analitico importante quanto la narrazione, la quale a sua volta soddisfa le aspettative dei bambini. Un cult.
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