"An ideal husband" al cinema c'era stato. Così come Oscar Wilde. Con risultati spesso discutibili. E Parker, regista british un pò sconclusionato, ne è l'artefice principale. Oltre a quest'adattamento, nelle sue mani, nell'ultimo decennio, "L'importanza di chiamarsi Ernest" e "Dorian Gray" versione patinata con Ben Barnes statuetta di cera. "Un marito ideale" del 1999 è un prodotto intermedio, di gran lunga più vicino allo stile del Wilde scrittore, rispetto all'idiozia simil-horror dell'adattamento di Dorian Gray, ma pari nella riuscita all'altro testo del letterato portato sullo schermo da Parker, l'Ernesto di Rupert Everett, che ha riprodotto il dandy Wilde più che il personaggio del testo da adattare. La medesima scelta interpretativa ha interessato questo lungometraggio, in cui Everett è il padrone assoluto della scena e l'imitazione modernizzata e meno drammatica del drammaturgo irlandese. Il prodotto è ben confezionato, a volte spiritoso, ben recitato (d'altronde Cate Blanchette, Julianne Moore, Minnie Driver, Jeremy Northam ed Everett sono degli ottimi interpreti), ma sa tremendamente di fiction televisiva. Non mi riferisco alla tecnica e al budget, ma alla scrittura. Sorge spontanea la domanda di come sia possibile trasferire un'opera pensata per il teatro sul grande schermo, garantendole credibilità e forma adatta. Parker, di certo ha creato un prodotto godibile, ma è anche l'espressione massima dell'impossibilità di portare Wilde al cinema. Non parliamo dei significati reconditi o dell'analisi societaria dello scrittore, ridotti a brandelli da una consequenzialità narrativa che manca il bersaglio. Una visione leggera, che sfiora qualche idea brillante, per poi perdersi nel banale.
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