Tim Burton crea il suo mostro e nell'idea stessa del mostro crea la sua debolezza. Il film è raggelante nell'analisi sociale ed estende il suo raggio d'azione alla modalità di sviluppo dei meccanismi di razzismo/violenza nei confronti del "diverso". Burton crea un essere vivente, capace di emozionare ed emozionarsi, schivo e fragile, frutto di una creazione, ma opera a sè stante dal suo creatore, buono. Non un Frankenstein. Gli dona due forbici per le due mani. Ne disintegra l'appeal fisico, rendendolo un vampiro con gli occhi spauriti e i capelli da artista folle, lo veste di nero, una sorta di armatura militare, e lo inserisce nel mondo colorato e iperperfetto della buona borghesia americana, in cui i colori pastello delle ville fanno da contraltare al nero delle anime di chi vi abita. D'altronde il mostro, in partenza, è un pò la novità, il finto buonismo, lo sfruttamento, ma diventa presto paura, violenza, ira, odio. Quello che nasce nella comunità (già manifesto all'inzio, ma taciuto semplicemente per credersi migliori di quelli che si è realmente) è insieme fobia e culto del brutto, non nel senso di adulazione ma di presa in giro, di smantellamento della dignità. La maggioranza impone al singolo unico individuo di scomparire. Ma non è un atto arbitrario ma progressivo. Un atto che provoca la rabbia del povero disperato e la strumentalizza. Un atto che mette il più debole alla mercè dei più forti. Qualcuno se ne accorge (il personaggio interpretato da Winona Ryder), ma l'Edward di Johhny Deep paga il semplice pregiudizio. Il film è tagliente, e la neve che cade piuttosto che ammorbidire congela per sempre l'immagine del dolore. Burton crea un gioiello, la perpetuazione del suo manifesto, e rende l'altra faccia del Natale, mostrando come l'appartenenza ad un mondo civile non pregiudichi la cattiveria, e l'appartenenza ad un mondo solitario non pregiudichi la bontà.
Tim Burton crea il suo mostro e nell'idea stessa del mostro crea la sua debolezza. Il film è raggelante nell'analisi sociale ed estende il suo raggio d'azione alla modalità di sviluppo dei meccanismi di razzismo/violenza nei confronti del "diverso". Burton crea un essere vivente, capace di emozionare ed emozionarsi, schivo e fragile, frutto di una creazione, ma opera a sè stante dal suo creatore, buono. Non un Frankenstein. Gli dona due forbici per le due mani. Ne disintegra l'appeal fisico, rendendolo un vampiro con gli occhi spauriti e i capelli da artista folle, lo veste di nero, una sorta di armatura militare, e lo inserisce nel mondo colorato e iperperfetto della buona borghesia americana, in cui i colori pastello delle ville fanno da contraltare al nero delle anime di chi vi abita. D'altronde il mostro, in partenza, è un pò la novità, il finto buonismo, lo sfruttamento, ma diventa presto paura, violenza, ira, odio. Quello che nasce nella comunità (già manifesto all'inzio, ma taciuto semplicemente per credersi migliori di quelli che si è realmente) è insieme fobia e culto del brutto, non nel senso di adulazione ma di presa in giro, di smantellamento della dignità. La maggioranza impone al singolo unico individuo di scomparire. Ma non è un atto arbitrario ma progressivo. Un atto che provoca la rabbia del povero disperato e la strumentalizza. Un atto che mette il più debole alla mercè dei più forti. Qualcuno se ne accorge (il personaggio interpretato da Winona Ryder), ma l'Edward di Johhny Deep paga il semplice pregiudizio. Il film è tagliente, e la neve che cade piuttosto che ammorbidire congela per sempre l'immagine del dolore. Burton crea un gioiello, la perpetuazione del suo manifesto, e rende l'altra faccia del Natale, mostrando come l'appartenenza ad un mondo civile non pregiudichi la cattiveria, e l'appartenenza ad un mondo solitario non pregiudichi la bontà.
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