7.0 su 10
su Rai3 alle 21,05
“The Queen” è biopic rischiosa. Frears osserva dal buco della serratura. Realtà/regalità, due termini quantomai paralleli (“due parallele che non si incontrano mai”). Dietro un drappo di integerrima alterità, si scioglie la gelida scorza; dietro un atteggiamento giusto o sbagliato che sia, vi è sempre una storia personale, un’evoluzione, un progressivo adattamento ed un’assimilazione ambientale. La regina incarna il prototipo antiegualitario per eccellenza. Ricopre un ruolo spinoso ma garante (Bagehot ne aveva sottolineato il peso), concede e richiede fedeltà ai suoi sudditi, conserva un’intimità familiare, un’etica comportamentale, un’etichetta standard, il tutto in virtù di una presunta emanazione divina e di una, realisticamente avulsa dalla società moderna, nobiltà di nascita. Elisabetta (mai nome fu mai più appropriato, memori della Grande regina vergine), ha attraversato con il suo popolo grandi difficoltà (la corona, per gli Inglesi, non è ingerenza, ma intrinseca necessità storica e storicizzata), godendo di rispetto e seguito, nonostante, tra i mille cappellini retrò e i tailleur dalle tinte improponibili, il suo atteggiamento si sia solo parzialmente rinnovato. Il giro di boa, il momento di minor sostegno, la morte dell’antagonista Diana. E siamo a cavallo tra storia (per la quasi contemporanea affermazione di un giovane riformista laburista, Tony Blair), gossip da quattro soldi (con relativi flash a cercare di scrutare una Buckingham Palace deserta), indagine giudiziaria (per il presunto coinvolgimento della casa reale) con tinte populistico-plebiscitarie, in memoria del sogno triste di una principessa ribelle. Frears parte da qui. Si documenta, tratteggia un ritratto chiaro, inventa, rintraccia l’umanità in un essere distante, senza indugi, talvolta facendone cogliere i pregi, talvolta sottolineandone i cinici modi di fare. L’intera impalcatura filmica sembra propendere per una giustificazione, su ogni piano, in primis quello morale, di un agire condizionato. Da un soggetto british particolarmente accattivante, “The Queen” solletica e stuzzica, in bilico tra dramma, mai preponderante, e comedy sopraffina. Helen Mirren, in stato di grazia, assume movenze, espressioni, impercettibili tic, segno di uno studio minuzioso ed attento, forse eccessivo, e, sebbene l’imprinting attoriale di tal genere sia talvolta patinato, in questo caso il risultato è convincente. Frears dirige con fermezza e lucidità la pellicola della sua consacrazione, la sceneggiatura dell’acclamato Peter Morgan è la carta vincente; tra citazionismo socio-politico e filigrana briosa, non dimentica mai di scandire i passaggi giornalieri, con una preponderanza della visione prettamente istituzionale, ma immergendosi in pura introspezione attraverso slanci emotivi (l’immersione nella natura) o acute riflessioni personali. Pur prediligendo la grande arguzia geopolitica, con conseguente adeguata caratterizzazione e abilità recitativa dei tanti comprimari, buoni anche gli intermezzi personalistici. D’altronde, entrambi i momenti si colgono e si compenetrano nella mentalità regia, essendo l’uno il contraltare e il restrittivo dell’altro. Forse l'impressione di un'ottima fiction non è del tutto errata, ma si tratta di un cinema che aspira a questo e non ad innovare, quindi la cosa è più che giustificata.
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