The others
Ha il fascino intatto di una gemma preziosa. Il film dell’Amenàbar più ispirato è delizia per gli occhi. Evanescente, simbolico, difficilmente intuibile, è un thriller onirico dalle tinte oscure con qualche sprazzo di dramma, qualche sporadico colpo di scena, l’immersione dell’uomo che si accinge a cogliere il senso della vita a contatto con la morte. Il “sense of mistery” è percettibile e volutamente in risalto attraverso una cifra stilistica cara alla letteratura e all’arte decadente:”il non detto”. Gaugain cercava di esprimere l’essenza delle cose nella pedissequa eliminazione delle stesse, tacendole o sottintendendole. Nel film le parole non si sprecano in maniera vana ed illusoria; anche se è possibile intuire parzialmente il senso stesso della storia, non attraverso i dialoghi precisi e pertinenti, bensì osservando con attenzione la gestualità, i modi, le alterazioni comportamentali dei personaggi. Banale ma d’ effetto l’intenzione di puntare su una religiosità cristiana ortodossa e atavica: le paure ancestrali dell’uomo comune si manifestano in essa; il mondo cristiano vive di simbologie evocatrici di una scissione tra luce e ombra e, il puntare continuamente sulla soppressione delle fonti di luminosità naturali sostituite da primordiali lampade ad olio, equivale ad una scelta di campo precisa: il buio non tanto come male quanto come morte. E qui prorompe il tema più forte ed originale della storia: il trapasso. La paura del “nulla eterno”, le congetture religiose vengono sostituiti da una “corrispondenza di amorosi sensi”. Non è solo il ricordo che ci mette in comunicazione con i cari defunti; esiste una dimensione di vita parallela che è l’immortalità, ma che corrisponde alla vita stessa. Film vagamente filosofico, retrò nello stile. Regia ai suoi massimi, interpretazioni perfette (la divina Kidman impersona una novella Medea tragica). Archetipico.
Mare dentro
Apologo forzato, privo d’intensità, il film di Amenàbar trova la sua unica e rara perla nella descrizione paesaggistica con i fondali del mare galiziano di un blu puro che infervora e fa ardere il cuore e distese boschive di un verde altrettanto acceso ed evocatore di un’atmosfera trasognata.La sceneggiatura ha qualche intoppo; il regista non è in grado di smorzare con forza e vigore una tematica impervia da trattare, tende sbadatamente a respingere qualsiasi tesi a lui discorde, si mostra piatto e di una creatività spicciola, esprimendo una feroce critica anticattolica che sembra essere una peculiarità delle sue pellicole. Mare Dentro è la storia accaduta di un paraplegico che brama la “dolce Morte”, in un ambiente familiare dai forti sentimenti, profondamente in dubbio sulla scelta dell’uomo, reciso nel profondo, a seconda del prevalere di un’eticità indotta da retrovie religiose e sociali o meno. E’ descritto l’ultimo bagliore di vita dell’uomo, la sua lotta, la sua importanza, i suoi accesi sostenitori e antagonisti, il suo coraggio. Peccato che la retorica non manchi, il giudizio sia univoco e la tematica legale-procedurale sia troppo in risalto. Ne perde l’intensità di un bravo Bardem, che, avidamente,dalla sua finestra, scrivendo poesie, liriche, compie viaggi, ripercorrendo il suo passato e abbracciando la natura sulle note pucciniane, in un volo, in un batter d’ali che, pur emozionante, risente del già visto. Film in cui la forza del soggetto pensante si dissocia e agisce contro l’ottica dell’imposizione di una legge, statuale, morale, religiosa. Forte per il coraggio, codardo per l’esemplificazione, Amenàbar sfiora la radicalità.
Ha il fascino intatto di una gemma preziosa. Il film dell’Amenàbar più ispirato è delizia per gli occhi. Evanescente, simbolico, difficilmente intuibile, è un thriller onirico dalle tinte oscure con qualche sprazzo di dramma, qualche sporadico colpo di scena, l’immersione dell’uomo che si accinge a cogliere il senso della vita a contatto con la morte. Il “sense of mistery” è percettibile e volutamente in risalto attraverso una cifra stilistica cara alla letteratura e all’arte decadente:”il non detto”. Gaugain cercava di esprimere l’essenza delle cose nella pedissequa eliminazione delle stesse, tacendole o sottintendendole. Nel film le parole non si sprecano in maniera vana ed illusoria; anche se è possibile intuire parzialmente il senso stesso della storia, non attraverso i dialoghi precisi e pertinenti, bensì osservando con attenzione la gestualità, i modi, le alterazioni comportamentali dei personaggi. Banale ma d’ effetto l’intenzione di puntare su una religiosità cristiana ortodossa e atavica: le paure ancestrali dell’uomo comune si manifestano in essa; il mondo cristiano vive di simbologie evocatrici di una scissione tra luce e ombra e, il puntare continuamente sulla soppressione delle fonti di luminosità naturali sostituite da primordiali lampade ad olio, equivale ad una scelta di campo precisa: il buio non tanto come male quanto come morte. E qui prorompe il tema più forte ed originale della storia: il trapasso. La paura del “nulla eterno”, le congetture religiose vengono sostituiti da una “corrispondenza di amorosi sensi”. Non è solo il ricordo che ci mette in comunicazione con i cari defunti; esiste una dimensione di vita parallela che è l’immortalità, ma che corrisponde alla vita stessa. Film vagamente filosofico, retrò nello stile. Regia ai suoi massimi, interpretazioni perfette (la divina Kidman impersona una novella Medea tragica). Archetipico.
Mare dentro
Apologo forzato, privo d’intensità, il film di Amenàbar trova la sua unica e rara perla nella descrizione paesaggistica con i fondali del mare galiziano di un blu puro che infervora e fa ardere il cuore e distese boschive di un verde altrettanto acceso ed evocatore di un’atmosfera trasognata.La sceneggiatura ha qualche intoppo; il regista non è in grado di smorzare con forza e vigore una tematica impervia da trattare, tende sbadatamente a respingere qualsiasi tesi a lui discorde, si mostra piatto e di una creatività spicciola, esprimendo una feroce critica anticattolica che sembra essere una peculiarità delle sue pellicole. Mare Dentro è la storia accaduta di un paraplegico che brama la “dolce Morte”, in un ambiente familiare dai forti sentimenti, profondamente in dubbio sulla scelta dell’uomo, reciso nel profondo, a seconda del prevalere di un’eticità indotta da retrovie religiose e sociali o meno. E’ descritto l’ultimo bagliore di vita dell’uomo, la sua lotta, la sua importanza, i suoi accesi sostenitori e antagonisti, il suo coraggio. Peccato che la retorica non manchi, il giudizio sia univoco e la tematica legale-procedurale sia troppo in risalto. Ne perde l’intensità di un bravo Bardem, che, avidamente,dalla sua finestra, scrivendo poesie, liriche, compie viaggi, ripercorrendo il suo passato e abbracciando la natura sulle note pucciniane, in un volo, in un batter d’ali che, pur emozionante, risente del già visto. Film in cui la forza del soggetto pensante si dissocia e agisce contro l’ottica dell’imposizione di una legge, statuale, morale, religiosa. Forte per il coraggio, codardo per l’esemplificazione, Amenàbar sfiora la radicalità.
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