Playlist Tre film estivi italiani

Il Sorpasso
Una clessidra, la sabbia bianca trapassa leggermente da una parte e si ritrova, speculare, a mezza via. La clessidra, a questo punto, sembra essere, per un arco di tempo infinitesimale, bloccata. Due giorni, un viaggio, non molto lontano, non troppo vicino. E’ Ferragosto, Roma sembra capitolare all’afa. E’ vuota, come non accade più da tanti anni. Si vede San Pietro, la piazza, ed è deserta. Serrande chiuse, solo qualche macchina si muove, frettolosa e quasi offensiva dell’assoluto silenzio delle zone più popolose, soprattutto appena prima dell’ora di pranzo, in un giorno di festa e con il solleone umidiccio che imbeve le ascelle e in odori non appetibili bagna le camicie o le magliette, a mezza manica, anche se ancora qualcuno preferisce la signorilità di qualche giacca di lino stropicciata, poco di borgata, più di piazza, quando il vento leggero della brezza di mare si fa sentire. L’Italia è quella dei primi anni sessanta, di “Guarda come dondolo” di un Vianello allegretto e senza troppe pretese, e dell’onnipresente Modugno del “Vecchio Frack”. Strano, la poesia sembra molto diffusa, si cita il Garcia Lorca della “ragazza maritata”, e alla radio si preferisce un disco. Qua e là, qualche nome: la Loren, “Lollo”, “Camicasca” (Lojacono). Il Belpaese è molto frammentato, svirgolata di dialetti ed esclamazioni, il classismo, forse, è più marcato di oggi, ma, in realtà, il suo peso non è così stingente, dato il boom economico e una dose di vicinanza che non è dell’oggi (il procuratore, cugino di uno dei due protagonisti, fa delle ciarle politiche il suo mestiere, criticando la sinistra ed elogiando il fascismo per come avesse trattato i contadini, mentre il fattore fa cenno ad ogni sua affermazione, dimenticando la sua classe, in virtù di una chiarissima “appartenenza” genetica, dovuta ad un certo feeling corporale con la “padrona”). Tutto sommato, c’è un’unità di fondo, nata, di certo, dal consenso e dal fermento partecipativo, senza le mediazioni informatiche, la finzione di certe maschere quotidiane. In realtà, la visione è, in parte, più complessa e il Risi avvezzo alle sottigliezze ne definisce la portata comportamentale, da bravo indagatore dell’animo. Bruno (Gassman) è un uomo di mezza età, infantile, perennemente alla ricerca di un divertimento insano, attacca bottone con facilità e ha la fama di essere un dongiovanni, si esprime in un romanesco spigliato. E’ un perdigiorno, anche se ha una certa conoscenza del mondo, della cultura standard (l’alienazione di Antonioni diventa una poltrona al cinema su cui appisolarsi, ma su siffatta materia non sempre si riesce a restare lucidi, a dir la verità), ed è saccente, un po’ come si etichettano i Romani. Vive in un mondo in cui le responsabilità sono scarse, mollato dalla moglie, è un padre assente, che della figlia adolescente ricorda poco, pur mantenendo una gelosia che lo spinge, con toni piuttosto dimessi, a sfidare il “degenerato” uomo di una certa età che la giovane ragazza frequenta ( e l’ipocrisia è in agguato, dato che corteggia, inconsapevole, la stessa figlia imparruccata alla Cleopatra), eterno mammone. Roberto (un bravissimo Trintignant) è un ragazzetto di un certo rango, timidone, innamorato di una vicina che, a malapena, ha intravisto, studente modello di Giurisprudenza, alle prese con la preparazione degli esami autunnali. E’ l’antitesi dello Spaccone, imberbe, mite, silenzioso, non perspicace, ingolfato in un mondo che segna il passo tra il pensiero e l’azione. “Gli ultimi due giorni sono stati i più belli della mia vita”, dice, dopo essere stato titubante. Peccato che siano stati anche gli ultimi. Immenso.



Pranzo di Ferragosto

Roma. Agosto. Un quartiere di borgata, dove l’accento e la pronuncia non sono così stringenti. C’è ancora una bottega che fa credito, “segna” il conto, da pagarsi a fine mese. C’è un rispetto, una leggerezza, un’umiltà, dietro i paraventi, dietro le finestre. Gianni raccoglie da un bidone un ventilatore, che sembra rotto, ma le mani possono aggiustare ciò che ad altri conviene gettare via.
Casa antica, ammobiliata con un certo gusto, illuminata da fari di un passato remoto che non è più. Gianni non si è mai sposato, vive con la madre, ottuagenaria. Macchie della pelle sull’anziana, capelli biondi, un filo di trucco. Sembra una donna che mantiene il suo rango, la sua cultura, tra francesismi, latinismi e linguaggio forbito, che, certamente, derivano da una signorile educazione. Gianni è un uomo, per così dire, moderno…non è felice, probabilmente, ma non respinge la sua condizione, non aspira, vive quello che può, quello che ha, quello che ha scelto. Non sempre la sua attività di raziocinio serve a celare, come un manto un corpo, i suoi sentimenti, e, di tanto in tanto, con una certa consapevolezza, assapora nel vino, nel bianchetto, il gusto sano di un po’ d’allegria. Ferragosto, da anziani. I giovani, o almeno, quelli che ce la fanno ancora a premere il piede sull'acceleratore, sono in viaggio. E gli anziani? Il film di Di Gregorio ci mostra ciò che accade, quando a Gianni (ad interpretarlo lo stesso regista) a a sua madre si aggiungono, portate come se fossero pesi, altre signore da ospitare. Marina non si stacca dal televisore, ma a tarda sera, fugge dalla casa caldissima fino al bar, per bere una birretta e fumare liberamente. Zia Maria soffre di arteriosclerosi, non disdegna cucinare pasta al forno con abbondanti fette di mozzarella. Molto limitata nell’uso di un ampio vocabolario, ma estremamente simpatica. Grazia è una donna che adora rivivere il passato, quello di quand’era piccina, e, mai attenta a dosare le compresse di Domperidone, pur non potendo, vive in virtù di cibo succulento e dei derivati del latte che non dovrebbe mandar giù. E’ Ferragosto, le iniziali incomprensioni sono andate via. Il pranzo diventa locus della serenità, o al meno della voglia di vivere che si legge sul volto pieno di rughe di chi riesce a sentire il gusto, senza il tram tram quotidiano, della vita che gioisce di essere tale. Di Gregorio dirige un film sottile, di testa. Non lasciatevi ingannare, dietro ogni azione, comica o meno, c’è sempre un percorso. Forse la vecchiaia dà armonia. Forse semplicemente fanciullezza. Forse disincanto.


Casotto
Un piccolo flash.
 "Casotto" di Citti è una sorta di "Grande Fratello" voyeuristico sull'Italia dallo spirito meno altolocato e più godereccio, preda degli stimoli sessuali, della nudità, della volgarità, del paternalismo. E per questo, nel suo essere weird, è un ritratto veritiero al pari di ogni film che vuole essere anche documentario. C'è Jodie Foster. Consigliato.

Commenti