30 giorni di buio
Barrow, Alaska. Estremità del mondo, freddo che ti violenta, ti intorpidisce, ti plasma congestionando (dice il vampiro:”Questo freddo che aumenta, è la morte che si avvicina). Isolata dal mondo (e fuori da esso, in quanto non esistente nella realtà), lontana dalla vita si caratterizza per 30 giorni di buio assoluto, tra tempeste di neve e folate di vento, senza che la benché minima lucina fioca possa sfiorare il suo cielo perennemente ombrato, grigiastro; l’ultimo giorno di sole i più abbandonano la cittadina, che all’apertura e alla chiusura, desta commozione per le bellezze paesaggistiche, splendidi quadri di soli arancio rosato che si presentano allo zenit. l’ultima scena è il trapasso tra il buoi e il nuovo giorno con una frammentazione in milioni di pezzi di polvere. L’incubo ha il suo triste epilogo. Dove non c’è luce (credenza popolare), c’è lo spettro di “uomini votati al male, all’inferno, alle fiamme”, divoratori, succhiatori di sangue, la cui fantasia popolare ne ha accresciuto e creato mirabili miti di cartapesta che si sono evoluti da Bela Lugosi, grande interprete di Dracula, al gusto esteticamente chic dei vampiri di “Underworld”, cercando varianti che potessero, di volta in volta, dalla leggenda allo script, colpire sul grande schermo. I vampiri di “30 giorni di buio” non vestono di abitini all’ultima moda, si frappongono come l’altro da sé, non indulgono in facili rapporti con gli umani, mirano a mutarli, a dissanguarli, ad infilare le loro teste in picchetti di legno imbevuti di putrido sangue, non parlano lingua umana, ma seducono per un sconcertante viso opalescente, che sembra lacerare, dalle lunghissime e semismaltate unghie. Un gruppo di uomini cerca di evitare un’atroce morte, fino all’ultimo scontro, quando lo sceriffo Eben (Josh Hartnett), dopo essersi iniettato sangue contaminato, si lancia all’attacco del capo vampiri, l’ottimo Danny Huston. “30 giorni di buio” e il sole torna a brillare sulle teste scotte dei pochi sopravvissuti, con il David Slade di “Hard Candy”, film provocatorio, che fà albeggiare e conferma un impianto registico classico. Curatissima la scenografia, che si chiude in interni dove c’è sempre un’intercapedine per guardare fuori (così come c’è sempre un’ancora di salvezza), scelte cromatiche precise nel secernere i vari momenti della storia. Nel genere, un piccolo film che rielabora la classicità horror meno paurosa. Chissà come David Slade abbia reso i suoi vampiri in Eclipse. Lo scopriremo, prima o poi. (Al cinema, per ora, andateci voi, io soldi per quella saga non ho da spenderli ).
Barrow, Alaska. Estremità del mondo, freddo che ti violenta, ti intorpidisce, ti plasma congestionando (dice il vampiro:”Questo freddo che aumenta, è la morte che si avvicina). Isolata dal mondo (e fuori da esso, in quanto non esistente nella realtà), lontana dalla vita si caratterizza per 30 giorni di buio assoluto, tra tempeste di neve e folate di vento, senza che la benché minima lucina fioca possa sfiorare il suo cielo perennemente ombrato, grigiastro; l’ultimo giorno di sole i più abbandonano la cittadina, che all’apertura e alla chiusura, desta commozione per le bellezze paesaggistiche, splendidi quadri di soli arancio rosato che si presentano allo zenit. l’ultima scena è il trapasso tra il buoi e il nuovo giorno con una frammentazione in milioni di pezzi di polvere. L’incubo ha il suo triste epilogo. Dove non c’è luce (credenza popolare), c’è lo spettro di “uomini votati al male, all’inferno, alle fiamme”, divoratori, succhiatori di sangue, la cui fantasia popolare ne ha accresciuto e creato mirabili miti di cartapesta che si sono evoluti da Bela Lugosi, grande interprete di Dracula, al gusto esteticamente chic dei vampiri di “Underworld”, cercando varianti che potessero, di volta in volta, dalla leggenda allo script, colpire sul grande schermo. I vampiri di “30 giorni di buio” non vestono di abitini all’ultima moda, si frappongono come l’altro da sé, non indulgono in facili rapporti con gli umani, mirano a mutarli, a dissanguarli, ad infilare le loro teste in picchetti di legno imbevuti di putrido sangue, non parlano lingua umana, ma seducono per un sconcertante viso opalescente, che sembra lacerare, dalle lunghissime e semismaltate unghie. Un gruppo di uomini cerca di evitare un’atroce morte, fino all’ultimo scontro, quando lo sceriffo Eben (Josh Hartnett), dopo essersi iniettato sangue contaminato, si lancia all’attacco del capo vampiri, l’ottimo Danny Huston. “30 giorni di buio” e il sole torna a brillare sulle teste scotte dei pochi sopravvissuti, con il David Slade di “Hard Candy”, film provocatorio, che fà albeggiare e conferma un impianto registico classico. Curatissima la scenografia, che si chiude in interni dove c’è sempre un’intercapedine per guardare fuori (così come c’è sempre un’ancora di salvezza), scelte cromatiche precise nel secernere i vari momenti della storia. Nel genere, un piccolo film che rielabora la classicità horror meno paurosa. Chissà come David Slade abbia reso i suoi vampiri in Eclipse. Lo scopriremo, prima o poi. (Al cinema, per ora, andateci voi, io soldi per quella saga non ho da spenderli ).
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