Gioventù Bruciata
Più che una semplice pellicola dai toni giovanilistici, un ritratto generazionale complesso, dai toni magniloquenti, dinamitardi, quasi epici nell’eroismo contraddittorio e spiazzante della gioventù bruciata dei mitici 60’s. Rapido sguardo sull’inettitudine scontrosa, sul malessere straziante, sull’iperattività e sull’immobilità, ci proietta materialmente in paesaggi, atmosfere passate, fà cogliere il vuoto giovanile. In quel lungo e astioso conflitto familiare che ogni adolescente vive all’interno della famiglia, le nuove leve non escono mai sconfitte, né ripudiate. Si scorge, attorno a loro, il fuoco dell’astio, il disinteresse, la prevaricazione, l’abbandono genitoriale. Sorgono allora i miti, quegli esseri personificazione del sigillo distintivo di un’intera epoca, che spiccano facilmente il volo verso la notorietà e la cui malinconica esistenza raggiunge un tale culmine, una tale importanza, da giustificarne la prematura fine. James Dean ha racchiuso la sua indole nel film trasformandosi in icona da venerare, la sua necessità terrena viene meno laddove finisce un’epoca, che con lui toccava il picco, con la sua morte l’inizio della decadenza. La definizione gratuita ma corretta di cult deriva, inoltre, da numerosi altri meriti del film; se si vuole prendere in esame la rutilante sceneggiatura o in ambito più incisivamente tecnico, la regia del grande Nicholas Ray, autore ribelle e dinamite pura per l’epoca, non si fossilizza sul già visto, ma inventa e muove le fila in modo innovativo e precursore attraverso un sapiente montaggio e scelte cromatiche bizzarre, dense, estrose, tanto luminose da apparire accecanti. E’ proprio la fotografia, con toni chiaroscurali, e un innato senso di oppressione dall’esterno verso l’interno a rendere questo film un classico del cinema moderno. O meglio l’antenato del cinema della disillusione, dei viali alberati della provincia che si raggomitolano, dopo una luce inattesa, nell’ombra del noir esistenziale, o meglio dell’esistenza metà noir metà passione. Un cast di alto livello, con James Dean che è uno spaccone senza causa, Mineo un piccolo cucciolo da proteggere (sulla relazione tra i due ci sarebbero pagine da scrivere) e la Wood, splendida, che è inquieta nei modi e conturbante nell’espressione. Un capolavoro.
Più che una semplice pellicola dai toni giovanilistici, un ritratto generazionale complesso, dai toni magniloquenti, dinamitardi, quasi epici nell’eroismo contraddittorio e spiazzante della gioventù bruciata dei mitici 60’s. Rapido sguardo sull’inettitudine scontrosa, sul malessere straziante, sull’iperattività e sull’immobilità, ci proietta materialmente in paesaggi, atmosfere passate, fà cogliere il vuoto giovanile. In quel lungo e astioso conflitto familiare che ogni adolescente vive all’interno della famiglia, le nuove leve non escono mai sconfitte, né ripudiate. Si scorge, attorno a loro, il fuoco dell’astio, il disinteresse, la prevaricazione, l’abbandono genitoriale. Sorgono allora i miti, quegli esseri personificazione del sigillo distintivo di un’intera epoca, che spiccano facilmente il volo verso la notorietà e la cui malinconica esistenza raggiunge un tale culmine, una tale importanza, da giustificarne la prematura fine. James Dean ha racchiuso la sua indole nel film trasformandosi in icona da venerare, la sua necessità terrena viene meno laddove finisce un’epoca, che con lui toccava il picco, con la sua morte l’inizio della decadenza. La definizione gratuita ma corretta di cult deriva, inoltre, da numerosi altri meriti del film; se si vuole prendere in esame la rutilante sceneggiatura o in ambito più incisivamente tecnico, la regia del grande Nicholas Ray, autore ribelle e dinamite pura per l’epoca, non si fossilizza sul già visto, ma inventa e muove le fila in modo innovativo e precursore attraverso un sapiente montaggio e scelte cromatiche bizzarre, dense, estrose, tanto luminose da apparire accecanti. E’ proprio la fotografia, con toni chiaroscurali, e un innato senso di oppressione dall’esterno verso l’interno a rendere questo film un classico del cinema moderno. O meglio l’antenato del cinema della disillusione, dei viali alberati della provincia che si raggomitolano, dopo una luce inattesa, nell’ombra del noir esistenziale, o meglio dell’esistenza metà noir metà passione. Un cast di alto livello, con James Dean che è uno spaccone senza causa, Mineo un piccolo cucciolo da proteggere (sulla relazione tra i due ci sarebbero pagine da scrivere) e la Wood, splendida, che è inquieta nei modi e conturbante nell’espressione. Un capolavoro.
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