Le avventure del topino Despereaux




Il film sul “gentiluomo” Despereaux Tilling approccia un’idea cinematografica molto diversa dai clichè dell’animazione. Più che a Miyazaki, che predilige il momento onirico, e a Lasseter che libera l’aspetto più ludico, e all’intera prefabbricata casa Dreamworks, ancella della parodia fine a sè stessa, la storia di Despereaux si muove su un filone a sè stante, più vicino al vecchio e caro modello disneyano di decenni addietro che alla neo produzione Pixar. La variazione più significativa è l’esasperazione dell’elemento psicologico: tutto sembra immerso in un determinismo, anti-determinismo, illogicità dell’esclusione, potenziamento del proprio Ego, immaginazione fervida. In realtà, il tratto è sottile, la penna (macchina da presa) con cui si ricalca la matita (il testo da cui il film è tratto) aguzza, una stilografica rossa con intarsi dorati. La stilografica ha una cadenza lineare, un garbo regale, una gentilezza che mitiga la rotondità scolare della grafia. La stilografica, a livello visivo, determina l’effetto più estroso e ritmico, preciso e capillare, corposo e intellettuale di ogni altra penna. Bisogna saperla usara, d’altronde. Non è una Bic, pluriuso, non una penna a sfera ergonomica, non è una vecchia Replay, molto anni ’80-’90, cancellabile. Ha diverse problematiche: il costo relativamente alto, la scarza manegevolezza, e soprattutto le vecchie, care, macchie di inchiostro, nonchè una limitata attitudine a prestarsi alle fauci degli accaniti studenti. Chi dirige il racconto di Despereaux ha una buona manualità con la cinepresa, una grande compattezza stilistica e una notevole capacità creativa. Il film, graficamente, è impressionante, bellissimo, un piccolo goiello. Più che il mondo umano, in cui la vera gemma è il solito soggetto di Arcimboldi (la zuppa umanizzata), ciò che colpisce è la maestria nei dettagli nel raffigurare l’ombroso mondo dei ratti delle segrete, immerso in un buio che si accende di fiammiferi, e di scheletri e di ossa costruisce le casupole e le carrozze, e la più accogliente e semplice dimensione dei topi, che non mutuano un atteggiamento piratesco ma hanno nella semplicità dei loro abiti e dei loro arredi quella puntigliosità che è del preciso e timido impiegato vessato. Come detto, la prima parte ha una freschezza e una genuinità senza misura, e assomiglia ad un ingranaggio anche piuttosto complesso,la seconda parte non è per nulla monotona, ma l’accrescersi dell’azione, pur non lasciando perdere il filo, pretende di spiegare semplicemente con la narrazione il mutamento di psicologia dei personaggi. E’ così che Roscuro, da ratto modello, tenta, offeso dalla sua errata identificazione, la strada della presunta mancanza di scrupoli e la serva Miggery mostra il lato più prepotente e la sua estrema forza a raggiungere il suo unico obiettivo, dopo anni di vessazione, imprigionando la principessa, a sua volta bella e amorevole, ma anche viziata, prepotente ed ipocrita. Il re, nell’elaboazione del lutto, si spinge in un incupito vivere nell’assoluta mancanza di sentimenti, con la musica che ne scandisce le ore. I genitori di Despereaux ed il fratello non hanno un minimo di comunanza e di comprensione. La realtà mostrata appare, perciò, molto meno veritiera di quanto si presenti, la psicologia potenziata ma piuttosto spicciola. Che senso ha fare un film d’animazione, destinato ai bambini, in cui l’elemento pseudo-psicologico è così forte e la realtà così amara? Si pretende di spiegare ai bambini la vita, ma non lo si fa con la “magia”, a loro comprensibile, ma con quelle spiegazioni che solo i grandi possono capire. La stilografica lascia le vecchie care macchie.

Commenti

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