Il concerto



"Il concerto", a primo acchitto, non mi aveva convinto fino in fondo. Abituato ad un cinema lineare, soprattutto in ambito storico-politico, quindi privo di complicazioni narrative, trovarsi di fronte ad un film come quello di Mihaileanu, che si dispiega su tante ministorie e ha un carattere corale in parte eccessivo, non è una cosa usuale. Non parlo, però, di difficoltà recettiva, anzi casomai del contrario. Il film mantiene la sua autorialità, il suo stile, ma affronta il dramma storico del comunismo, colpevole di aver ridotto a brandelli la cultura ed inviato migliaia di persone nei gulag, come se fosse un amarcord poetico, nella sintesi superiore wagneriana della musica, che è onnicomprensiva delle arti, ma anche la massima espressione dell'armonia umana, il livello più alto della compartecipazione mistica, con l'orchestra che è l'emblema della partecipazione, e quindi del comunismo nella sua accezione più positiva. Un dramma che si estende non solo a chi ha patito di persona, ma anche a chi non ha agitato o ha sbagliato ad agire in quei tempi. Un pò l'omertà di chi, pur conoscendo i lager, si teneva ben lontano da rischiare in prima persona dal ribellarsi. Un senso di colpa marcato e imperituro. La cosa che colpisce è la capacità di legare dramma e commedia in una sola cosa. Ironizzare, creare immagini caricaturali e tendere all'espressionismo fisiognomico, con gli elementi grotteschi che diventano peculiarità, non significa abbandonare il dramma, quanto più porta ad alleggerirlo, facendo intravedere nel sorriso la lacrima e nella lacrima il sorriso. Il film è strutturato con un'evidente impostazione Disneyana a livello emotivo, anche se si discosta da essa per un sovrapporsi reiterato dei due livelli, comico e tragico, che si intersecano fino a giungere alla "tragedia del riso", quell'armonia musicale che oltrepassa le fasi del ricordo e della conoscenza, per poi affrancarsi dal passato, e fare della propria esperienza, per quanto dolorosa, una possibilità di rivalsa o di perpetuazione di un sogno che restituisca dignità a chi non c'è più. Mihaileanu ci aveva colpiti con "Train de vie", l'opera che trasformava la piaga dell'Olocausto in un circo di etnie, divertente e speranzoso, fino all'ultimo fotogramma, probabilmente uno dei colpi al cuore più grandi della storia cinematografica, con quel phatos doloroso e raggelante. La medesima funzione è attribuita alle ultime sequenze, quelle del concerto, che segnano l'incredibile ascesi dell'emotività. Un'emotività che arriva, tramite la musica, la sua forza, ad effiggiare la storia di un popolo, di un tempo, di una famiglia, di un dolore e lo purifica dall'ingiustizia atroce e dalla morte. Monumentale l'ultimo fotogramma, con un abbraccio che è molto di più di mille parole.

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