E' Peter Sellers, espressione stralunata e melliflua, il vero motore di una commedia che non ha una costruzione logica-narrativa dirompente. Quando ci si accosta ad "Hollywood Party", a primo acchitto, si viene catapultati in un mondo privo di interesse, sciatto, lento. In realtà, il film è costruito come una spirale di gag, con oscillazioni diverse, che colpiscono lo spettatore, facendolo immergere nella macchina cinematografica, negli ingranaggi del comico, fino a dissuaderlo dalla consapevolezza di essere a cinema, e portandolo ad un'interazione gioiosa con lo spirito, del tutto fasullo e di apparenza, della festa. In questo, Blake Edwards coniuga due fattori primari. Amalgama alla comicità necessaria un sottotesto di sferzante critica e qualche cenno, non troppo marcato, di invettiva. Da ciò non deriva un film a tesi, quanto un'argomentazione onnicomprensiva, con un quasi annullamento del punto di vista unico. La pellicola ride senza deridere, racconta il non raccontabile, ovvero il nulla del party. Ma il regista riesce ad affascinare e a tendere il braccio al mondo di alta classe, indulgente ma anche fine psicologo, arrivando provocatoriamente a distruggerlo (d'altronde l'elefante hippie e i giovani del 68' entrano in una scena, già sovraccarica, che finisce di esplodere in giochi d'acqua e sapone). Senza una nuova terra su cui rinascere, senza un epilogo sereno o spiacevole, praticamente con un finale aperto al "nulla" after party. E poi Peter Sellers ci lascia battute memorabili, mentre, come tutti, sembra uno sciroccato. Anche se non beve e non ha mai bevuto.
E' Peter Sellers, espressione stralunata e melliflua, il vero motore di una commedia che non ha una costruzione logica-narrativa dirompente. Quando ci si accosta ad "Hollywood Party", a primo acchitto, si viene catapultati in un mondo privo di interesse, sciatto, lento. In realtà, il film è costruito come una spirale di gag, con oscillazioni diverse, che colpiscono lo spettatore, facendolo immergere nella macchina cinematografica, negli ingranaggi del comico, fino a dissuaderlo dalla consapevolezza di essere a cinema, e portandolo ad un'interazione gioiosa con lo spirito, del tutto fasullo e di apparenza, della festa. In questo, Blake Edwards coniuga due fattori primari. Amalgama alla comicità necessaria un sottotesto di sferzante critica e qualche cenno, non troppo marcato, di invettiva. Da ciò non deriva un film a tesi, quanto un'argomentazione onnicomprensiva, con un quasi annullamento del punto di vista unico. La pellicola ride senza deridere, racconta il non raccontabile, ovvero il nulla del party. Ma il regista riesce ad affascinare e a tendere il braccio al mondo di alta classe, indulgente ma anche fine psicologo, arrivando provocatoriamente a distruggerlo (d'altronde l'elefante hippie e i giovani del 68' entrano in una scena, già sovraccarica, che finisce di esplodere in giochi d'acqua e sapone). Senza una nuova terra su cui rinascere, senza un epilogo sereno o spiacevole, praticamente con un finale aperto al "nulla" after party. E poi Peter Sellers ci lascia battute memorabili, mentre, come tutti, sembra uno sciroccato. Anche se non beve e non ha mai bevuto.
Commenti
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