Paolo Virzì è il vero mattatore della commedia all'italiana, della commedia corale e tanto leggera quanto articolata su più piani di lettura. I suoi film sono evidenti figli della comunicazione. La comunicazione moderna, quella delle televisioni commerciali e non, con i loro programmi marchiati per un certo pubblico. Se "Tutta la vita davanti" rielaborava di continuo montati del Grande Fratello, programma più visto dal maggior numero di centraliniste, e "Caterina va in città" tranciava del tutto la carriera e la salute mentale di un bravo Castellitto al Maurizio Costanzo Show, mostrando dei lati da psicotelevisione di massa, "Baci e Abbracci" si apre con un servizio per un telegiornale locale sull'apertura di un centro per l'allevamento degli struzzi da parte di una famiglia allargata, di cui sono inquadrati tre dei personaggi rappresentativi, che tendono a "ben apparire". E' il cerchio quadra, inesorabilmente. Nel bene e nel male, il mezzo televisivo viene canonizzato sul grande schermo, mostrato nei suoi lati meno comprensibili ad occhio nudo, ma non per questo oggetto di una critica che puzza di intellettualismo di bassa lega (tutti guardano i programmi televisivi, nessuno lo dice, sembra echeggiare il regista). Semplicemente è il controcampo della società, la richiesta della società. In questo senso Virzì cerca di mostrare che la televisione è un elemento diverso dal cinema propriamente detto e dalle altre forme artistiche, in quanto nasce come esigenza di massa, come una costrizione ( televisione di Stato) piuttosto che come una scelta. Il cinema diventa, come altre attività, la scelta. Ma Virzì cerca di addolcire il passaggio e si pone in quella tipologia di cinema che smorza i toni e si adagia sul "popolare/popolano", cari giustamente alla nostra tradizione. Il sua cinema diventa specchio della società, per quanto multicolorato e venato da un certo ottimismo, evidente nella conclusione di "Baci e Abbracci", a volte caustico e da black comedy (come il personaggio di Sabrina Ferilli in "Tutta la vita davanti" che alterna stati d'animo, lasciando alla fine emergere le sue reali sofferenze). Il suo cinema è una critica alla società stessa che segue un criterio non di abbattimento del sistema, ma di miglioramento. E' una passione civile, prima ancora che cinematografica, che anima Virzì, e che si può porre sui livelli di un certo, vastissimo, gruppo di italiani, che, indipendentemente da tutto, politica ed altro, crede ancora nella possibilità di agire per migliorare il paese. "Baci e Abbracci" è un episodio minore, che, pur avendo una certa qualità, non rischia molto e quasi sconfina nell'ovvio. Il cast regge bene, la coralità è un pò forzata, alcuni intrecci hanno un carattere troppo favolistico, ma il film comunque ha quella leggerezza che non impedisce una riflessione, seppur declinata, alla fine, in un'ottica non molto condivisibile, su un piano sociale. Ma eravamo nel 1998 e le cose, forse, nonostante i primi elementi di contrasto stridenti già marcati, erano parzialmente diverse da oggi.
Paolo Virzì è il vero mattatore della commedia all'italiana, della commedia corale e tanto leggera quanto articolata su più piani di lettura. I suoi film sono evidenti figli della comunicazione. La comunicazione moderna, quella delle televisioni commerciali e non, con i loro programmi marchiati per un certo pubblico. Se "Tutta la vita davanti" rielaborava di continuo montati del Grande Fratello, programma più visto dal maggior numero di centraliniste, e "Caterina va in città" tranciava del tutto la carriera e la salute mentale di un bravo Castellitto al Maurizio Costanzo Show, mostrando dei lati da psicotelevisione di massa, "Baci e Abbracci" si apre con un servizio per un telegiornale locale sull'apertura di un centro per l'allevamento degli struzzi da parte di una famiglia allargata, di cui sono inquadrati tre dei personaggi rappresentativi, che tendono a "ben apparire". E' il cerchio quadra, inesorabilmente. Nel bene e nel male, il mezzo televisivo viene canonizzato sul grande schermo, mostrato nei suoi lati meno comprensibili ad occhio nudo, ma non per questo oggetto di una critica che puzza di intellettualismo di bassa lega (tutti guardano i programmi televisivi, nessuno lo dice, sembra echeggiare il regista). Semplicemente è il controcampo della società, la richiesta della società. In questo senso Virzì cerca di mostrare che la televisione è un elemento diverso dal cinema propriamente detto e dalle altre forme artistiche, in quanto nasce come esigenza di massa, come una costrizione ( televisione di Stato) piuttosto che come una scelta. Il cinema diventa, come altre attività, la scelta. Ma Virzì cerca di addolcire il passaggio e si pone in quella tipologia di cinema che smorza i toni e si adagia sul "popolare/popolano", cari giustamente alla nostra tradizione. Il sua cinema diventa specchio della società, per quanto multicolorato e venato da un certo ottimismo, evidente nella conclusione di "Baci e Abbracci", a volte caustico e da black comedy (come il personaggio di Sabrina Ferilli in "Tutta la vita davanti" che alterna stati d'animo, lasciando alla fine emergere le sue reali sofferenze). Il suo cinema è una critica alla società stessa che segue un criterio non di abbattimento del sistema, ma di miglioramento. E' una passione civile, prima ancora che cinematografica, che anima Virzì, e che si può porre sui livelli di un certo, vastissimo, gruppo di italiani, che, indipendentemente da tutto, politica ed altro, crede ancora nella possibilità di agire per migliorare il paese. "Baci e Abbracci" è un episodio minore, che, pur avendo una certa qualità, non rischia molto e quasi sconfina nell'ovvio. Il cast regge bene, la coralità è un pò forzata, alcuni intrecci hanno un carattere troppo favolistico, ma il film comunque ha quella leggerezza che non impedisce una riflessione, seppur declinata, alla fine, in un'ottica non molto condivisibile, su un piano sociale. Ma eravamo nel 1998 e le cose, forse, nonostante i primi elementi di contrasto stridenti già marcati, erano parzialmente diverse da oggi.
Commenti
Posta un commento