Afghan Star

































Il film che non ti aspetti. "Afghan Star" riesce dove Hollywood ha in parte fallito. Rappresentare il tubo catodico su pellicola. Mi viene in mente "American Dreamz", film di qualche anno fa con Mandy Moore stalletta e Dennis Quaid presidente degli Stati Uniti, nonchè Hugh Grant nel ruolo di presentatore. Insomma, un'operazione tanto composita e di gusto mediocre da risultare perfettamente strafumata. Andando indietro nel tempo, i modelli positivi sono di primo piano. Ma prima di "The truman show", la dimensione reality non aveva ancora invaso i palinsesti di tutte le reti di ogni parte del mondo. Se si vuole trovare un precursore del genere, più che in "EdTV", "The truman show" con la superstar Carrey è il vero masterpiece di riferimento. "Afghan Star" è la sua derivazione documentaristica e reale. Laddove il "Grande Occhio" era un'accusa al voyeurismo parassitario e alla morbosità condizionante, che arriva a far vivere un uomo in una cella che ha la forma di un'isola inquietante, "Afghan Star" parte dall'assunto opposto. Documenta un mondo, quello delle prime televisioni indipendenti afghane, e mette in evidenza sotto l'apparente aspetto spettacolare le dinamiche di un popolo in costituzione e di identità dislocate nei punti lontani di un paese che si trova unito proprio dalla televisione, elemento aggregante ed educativo, e in particolare da questa manifestazione canora stile "American Idol". In poche parole, il documentario per sua definizione è una visione parziale della realtà e si pone il medesimo fine di "The truman show". Mostrare, attraverso il "reality", conscio o meno, alcuni aspetti della società. E' chiaro che il modo di affrontare il tema si differenzi, in relazione ad un elemento surreale e distopico, nel primo caso, argomentato secondo un'ottica geopolitica e di adesione storica nel secondo caso. La scelta di seguire la terza stagione del programma è giusta, per la grande commistione di elementi che hanno destato scandalo e sospetto. In primis, la presenza di una giovane donna emancipata, Setara, che sfidò i limiti imposti dal costume e arrivò a danzare sul palco, andando incontro alle minacce degli estremisti. Ma la storia ancora più inverosimile riguarda Lema, che, pur essendo morigerata, ha dovuto abbandonare il paese e rifugiarsi in Pakistan, per le minacce di morte ricevute nella sua città, ancora talebana, Kandahar, nel sud dello Stato. Il tutto viene inserito in un'accorta ricostruzione di montaggio che introduce molte interviste, perfettamente oleate e in grado di definire la realtà senza falsificazioni. Il film mira a definire l'ossatura di un popolo, o almeno a segnarne le precise contraddizioni, che appaiono del tutto anacronistiche di migliaia di anni per il nostro mondo. Tra le altre storie, mi preme sottolineare la fuga del presentatore originale , che ha lasciato in occasione del lancio del film negli Stati Uniti il suo paese, nonostante avesse esplicitato che non avrebbe mai abbandonato la sua città, Kabul, la più bella del mondo. Segno che l'Afghanistan libero non è meglio in modo netto rispetto all'Afghanistan teocratico dei Talebani.In onda su Cult.

Nel video l'esibizione di Setara che scandalizzò il paese.


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