Per il ciclo Capolavori, proponiamo un vecchio film post-depressione del 1933, "Quarantaduesima strada" di Lloyd Bacon è un pò il film del riscatto per il musical, nato ufficialmente con il "Il cantante di jazz" del 1929 e già in declino. Ma è appunto la fase depressiva che fà fiorire una nuova attenzione al genere, naturalmente insieme alla commedia. Entrambi, infatti, sono antidoti antidepressivi. Va detto che anche il gangster-movie ha il suo peso. Con questo film si può dire che nasca il musical nella sua visione più totalizzante. E in primo luogo è Arte. Il musical ha un pò la struttura del teatro, che riprende spesso, ma è anche un inquadramento apposito di una certa realtà, finzione calcolata e definita, montaggio di ciò che si vuole far scorgere e di come lo si voglia rappresentare (l'occhio di chi sta a teatro è tendenzialmente"bidimensionale", chi guarda un film vede, di per sè, indipendentemente dagli artifizi tecnici, in modo "tridimensionale" o meglio ad ampio raggio, in molti casi), narrazione definita. In più "Quarantaduesima strada" è anche uno sguardo sul backstage, su ciò che accade dietro le quinte. Ed è soprattutto anche un lavoro semicomico di preparazione dell'adattamento in cui vince il nosense coadiuvato da un interesse specifico alle dinamiche corali, con personaggi secondari che diventano primari e viceversa. Infine la componente fruibile, facile, anche se per nulla stereotipata e molto divertente, è avvolta nel gioco visivo. Le coreografie di Berkeley, mito assoluta della danza di questi anni, con relativo dispendio di dollari, sono estrose e spettacolari, uniche e moderne, geometriche, razionali, ma subito dopo spezzate, per una nuova, successiva e finale, ricomposizione discensionale, sul modello caro a Broadway, base per ogni allestimento nel genere (anche Bob Marshall deve ringraziarlo). A ciò si aggiunga l'ottima fotografia di Polito e la regia altrettanto sinuosa, moderna, articolata su più livelli, dinamica di Bacon. Ci preme ricordare le canzoni di Al Dublin e Harry Warren. "42nd street" destruttura il genere dalle sue componenti non narrative ma fini a sè stesse, e, dall'interno dei camerini alla scena, lo struttura dando spazio a componenti nuove e organiche. E' un esempio di metateatro a teatro, ma anche di metacinema al cinema.
Per il ciclo Capolavori, proponiamo un vecchio film post-depressione del 1933, "Quarantaduesima strada" di Lloyd Bacon è un pò il film del riscatto per il musical, nato ufficialmente con il "Il cantante di jazz" del 1929 e già in declino. Ma è appunto la fase depressiva che fà fiorire una nuova attenzione al genere, naturalmente insieme alla commedia. Entrambi, infatti, sono antidoti antidepressivi. Va detto che anche il gangster-movie ha il suo peso. Con questo film si può dire che nasca il musical nella sua visione più totalizzante. E in primo luogo è Arte. Il musical ha un pò la struttura del teatro, che riprende spesso, ma è anche un inquadramento apposito di una certa realtà, finzione calcolata e definita, montaggio di ciò che si vuole far scorgere e di come lo si voglia rappresentare (l'occhio di chi sta a teatro è tendenzialmente"bidimensionale", chi guarda un film vede, di per sè, indipendentemente dagli artifizi tecnici, in modo "tridimensionale" o meglio ad ampio raggio, in molti casi), narrazione definita. In più "Quarantaduesima strada" è anche uno sguardo sul backstage, su ciò che accade dietro le quinte. Ed è soprattutto anche un lavoro semicomico di preparazione dell'adattamento in cui vince il nosense coadiuvato da un interesse specifico alle dinamiche corali, con personaggi secondari che diventano primari e viceversa. Infine la componente fruibile, facile, anche se per nulla stereotipata e molto divertente, è avvolta nel gioco visivo. Le coreografie di Berkeley, mito assoluta della danza di questi anni, con relativo dispendio di dollari, sono estrose e spettacolari, uniche e moderne, geometriche, razionali, ma subito dopo spezzate, per una nuova, successiva e finale, ricomposizione discensionale, sul modello caro a Broadway, base per ogni allestimento nel genere (anche Bob Marshall deve ringraziarlo). A ciò si aggiunga l'ottima fotografia di Polito e la regia altrettanto sinuosa, moderna, articolata su più livelli, dinamica di Bacon. Ci preme ricordare le canzoni di Al Dublin e Harry Warren. "42nd street" destruttura il genere dalle sue componenti non narrative ma fini a sè stesse, e, dall'interno dei camerini alla scena, lo struttura dando spazio a componenti nuove e organiche. E' un esempio di metateatro a teatro, ma anche di metacinema al cinema.
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