Ken Loach, acuto regista di “social drama”, da sempre sostenitore di un anti-sistema filmico senza guizzi di intrattenimento puro, passa alla commedia. La location è la stessa, Regno Unito, Manchester City, in questo caso. L’indagine sociologica con intenti pedagogici permane, ma non è più l’ottocentesco Dickens che anima le inquadrature della under-class inglese, la working-class, scomparsa dai media ma non dalla realtà, bensì un misto tra Mike Leigh, il Mark Herman di “Grazie, signora Thatcher!” e un qualcosa del Danny Boyle migliore. Loach introduce un elemento fantastico, la figura del noto Eric Cantona, stella dei “Red Devils”, “King Eric”, che è una proiezione psicologica, evidentemente, ma su un livello più immediato, e quindi, più cinematografico, corrisponde alla variante fondamentale della scrittura di un film alla Loach, l’angelo custode di Frank Capra, per intenderci. E Dickens fa capolino in modo diverso, con le ghost-fictions. L’intera sceneggiatura è un susseguirsi di colpi di scena, un intreccio di diversi temi, peraltro costanti in altre pellicole, ma qui amplificati. E’ un cambio di prospettiva: se l’aspetto ideologico-politico era una caratteristica marcata della prima fase, oggi si accentua la tematica amorosa, fantastica, personale, orchestrando una commedia, partendo da uno stesso canovaccio, con happy ending finale, nella tradizione del cinema classico americano di tal genere. Sotto la superficie surreale, prosegue, quasi indipendente dal profilo narrativo, come se le apparizioni di Cantona fossero relegate a momenti interiori e solitari, con alcune eccezioni, la storia di un postino, Eric Bishop, alle prese con le difficoltà giornaliere, tra figliastri e ricordi. Ricompare il suo primo amore, Lily, e la dimensione quotidiana ha un sussulto, un’accentuazione emotiva foriera di cambiamento. Dal “poster” dei ricordi al presente, dai meandri mentali alla sensorialità fisica, dall’allucinazione necessaria al riadattamento alla realtà. Steve Evets ha un rapporto molto fisico con l’ambiente che lo circonda e riesce a passare, in alcuni punti, da uno stato d’animo all’altro, senza fronzoli o elaborazioni complesse. E’ una forma di recitazione realistica pura. Eric Cantona si conferma “moral-coach”, edulcorando il contatto tra realtà e finzione, con le famose massime che subiscono un adattamento. Loach offre un piccolo film consolatorio e vivificante, come se stesse ad indicare una dimensione diversa di realizzazione, indipendente dalla condizione sociale e monetaria, e che sfocia nella ricomposizione degli affetti.Esilarante la pseudo-psicologia del “ciccione”, amico di Eric Bishop. Per vivere, anche le classi medie-basse hanno bisogno di trovare un sollievo terapeutico fai da te.
La poesia lisergica del film
Inserti di repertorio
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