Nemico Pubblico-La storia di Mesrine

Stasera in onda la prima parte alle 22,45 su SkyCinema Mania
La seconda parte alle 21,00 del 9 Agosto.

Nemico Pubblico N.1 (Jacques Mesrine, Francia) -Prima e Seconda Parte






Jacques Mesrine non è un semplice personaggio, è un’attitudine. Se uno scrittore, nell’ambito di un non-fiction-book, volesse dipingere su tela cartacea l’essenza del “nemico pubblico”, non riuscirebbe a ritrarre la complessità e la forza di un colosso umano come Mesrine. E’ anche per questo che la sua autobiografia è una traccia autografa, pur non del tutto reale, da cui è possibile avere un’idea dell’uomo. Chi era Mesrine? Un po’ guascone, permaloso, arbitrario, donnaiolo, violento, violento come pochi, scaltro ed ingegnoso. Lo scacco al sistema. Mesrine era anche emotivo, opportunista, individualista. Nella seconda parte, punta a darsi l’aplomb del rivoluzionario, vicino alla sinistra di Bauer, ed in procinto di legarsi alle Brigate Rosse. In realtà, la distinzione del magnate Lelièvre era non solo coerente, ma del tutto fondata. Mesrine non era un rivoluzionario ma un gangster. Un uomo che lottava contro il sistema ma finiva per integrarsi con esso e sovvenzionarlo. Robin Hood dei poveri, derubava le banche, principali organismi legittimati al ladrocinio. Ma non tendeva alla filantropia, né era dedito alla sovvenzione di movimenti o gruppi. Il capitale sottratto veniva reinvestito in ottica capitalista e personale, tra Bmw e lussi. Inoltre, Mesrine, nell’assoluto individualismo, tendeva alla mercificazione della sua immagine, con l’obiettivo di essere adulato, o meglio, amato. L’egocentrismo e l’esibizionismo fini a sé stesso non si inscrivono in un discorso rivoluzionario, se non di mimesi quantomai improbabile. Si comportava come un giullare, una simpatica canaglia, un truffaldino, un galoppino. Non era il criminale della porta accanto, invece, ma sapeva essere spietato, soprattutto nella prima fase della sua vita. C’è quasi un punto di rottura tra la stesura dell’autobiografia “L’istinto di morte” e il periodo successivo. I due film di Richet sono quasi due opere diverse, con alcune tracce comuni, ma affrancate dalla compilazione in un unico dittico. L’antagonismo tra la prima parte minore e la seconda parte imponente sarebbe del tutto fuori luogo e rende l’idea di un indefinito, solo che la stessa natura dell’opera e della vita di Mesrine si può suddividere in due fasi. C’è il Mesrine non molto noto degli inizi, ancora non affrancato dal passato nella guerra d’Algeria, di famiglia borghese, piccolo mascalzone. Uomo rude e dolce, passionale ma suscettibile, capace di arrivare alle mani con la prima moglie. Il carattere si mostra indomito soprattutto, nel primo film, in quella che è la spettacolare fuga dal carcere di massima sicurezza canadese dove era detenuto, un cortile perimetrato e un’arguzia senza precedenti. Nella seconda parte, il tono cambia, e l’elemento meditativo e psicologico che avevano toccato il culmine nella assurdità di una prigione protettiva dove la sicurezza va a braccetto con una rieducazione vigliacca, forzata, svilente e cruenta di carnefici/carcerieri (d’altronde l’atteggiamento riservato ad un giornalista dal Nemico Pubblico è altrettanto indegno) lascia il passo ad un concitato ritmo frenetico di azione. La regia svolge un lavoro che supera di gran lunga la concatenazione hollywoodiana. La spettacolarizzazione si unisce ad un piglio maggiormente ironico, senza dimenticare l’elemento personale e sociologico nel coinvolgimento della massa. Il risultato è il crescendo dell’opera, che si riannoda semplicemente su sé stessa, senza fuggire dalla complessità contenutistica. Un film estremamente importante, Vincent Cassel straordinario. Le fughe di Mesrine sono come le nostre fughe dall’abominio di alcuni tratti del sistema. E l’iconicità non prescinde un giudizio morale.

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