Review 2012 - Quasi Amici (Intouchables)









Campione assoluto di incassi nella natia Francia (ma anche l'Europa lo sta premiando in modo incredibile, si veda il portentoso box-office tedesco), "Quasi amici" è il fim "intouchable" dell'anno, un inno alla vita, alla fraternità interraziale e al "popolare". Lo hanno definito una boccata d'ossigeno, ne hanno ipotecato, sagacemente, remake vari, hanno esasperato le reazioni del pubblico con ampio riscontro pubblicitario. "Intouchables" è diventato un fenomeno di massa, una pellicola"intoccabile" appunto, un film difficile da criticare senza essere tacciati di una forma di snobismo culturale. Chi ha elogiato il film ha sottolineato la carica liberatoria e divertente, la perfetta fusione del duo attoriale, l'intelligenza della sceneggiatura. Ecco, partendo dal presupposto che questi aspetti siano più o meno condivisibili, con delle riserve, pochi hanno avuto l'ardire di mostrare i numerosi limiti del film, che non è opera mirabile, ma solo intrattenimento puro e vacuo, nonchè opera nata per accogliere simpatie più o meno univoche. C'è un confine quasi impercettibile che divide la popolarità, quindi l'universalità di un messaggio, dalla demagogia, dal "populismo". E "Intouchables"non è un'opera popolare, ma un'opera populista. Grandi registi del popolare, della nostra commedia popolare, hanno saputo coniugare diverse istanze sociali sul grande schermo, senza perdere un briciolo di dignità intellettuale. In questo caso, non solo una qualsiasi capacità intellettuale è assente, ma la stesse elite culturale viene messa alla berlina, ridicolizzata all'interno della pellicola, che contrappone alla "morte" dell'arte contemporanea e non, la vittoria del kitsch estremo, della battuta, della facilità. Ma soprattutto è la vittoria dello stereotipo rassicurante, elemento che non sembra essere stato compreso pienamente da chi ha visto nel film un'istanza sociale che gli è avulsa. La dicotomia dei personaggi è sempre la medesima: il bianco ricchissimo, immobilizzato su una sedia a rotelle, "morto" dentro ad una cultura fine a sè stessa, il nero con una famiglia problematica, sessualmente audace (per non dire sboccato), mattacchione con un gran cuore. Ecco qui, in soldoni "Intouchables" è questo: un incontro rassicurante, un clichè cinematografico, un'opera che nasconde dietro la commedia una forte staticità sociale. E, nel suo essere opera conservatrice, anche e soprattutto sotto un profilo stilistico (che è assente, con i galoppini Nakache e Toledano del tutto privi di personalità alla regia), è anche un'opera che mette le mani avanti, che non può non piacere al "popolo" perchè nata con intenzioni "popolari". Nel caso in cui una voce si opponga alla facilità della rappresentazione, dell'intreccio, quella voce è immediatamente snob. Per questo, aggiungo, che si tratta di un'opera "populista" e demagogica, semplice, magari in alcuni punti accattivante, ben recitata e simpatica, ma a cui viene assegnata una profondità di contenuti che non solo non le appartiene, ma che è pari per approssimazione ad una sentenza, ad un'epigramma di un grande autore, isolata dal suo contesto. Può apparire pregnante, ma è nulla se paragonata ad un pensiero totale e totalizzante. "Intouchables" è superficiale, intrattiene come un prodotto per la tv, diverte. Ma non fa "ridere fino alle lacrime", nè conquista. Ed è diventata una grande operazione di marketing.

Commenti

  1. Ciao, sono Cristina (Cry per gli amici). Leggo spesso i tuoi post e ho anch'io un blog. Sono una grande appassionata di cinema, in particolare di quei film drammatici che sanno farti restare incollata allo schermo.
    Ti andrebbe di iniziare una collaborazione? Scrivimi su lascatoladelleemozioni@gmail.com che ti spiego cos'ho in mente...

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  2. Great article, Thanks for your great information, the content is quiet interesting. I will be waiting for your next post.

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