Review 2011 - Una Separazione ("Jodaeiye Nader az Simin")













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Colpo al cuore




Orso d'Oro all'ultimo festival di Berlino, "Una separazione" conferma e accresce le ottime impressioni suscitate dal precedente film di Farhadi, "About Elly", superbo innesto di tradizione iraniana su sfondo volutamente onirico vicino all'Antonioni de "L'Avventura". Dal film mystery, Farhadi passa al legal-movie, volendo dare una catalogazione riduttiva al suo cinema sovraccarico di livelli di lettura e di antinomie recondite di denuncia che si nascondono, caute ma decise, negli intrecci "morali" delle sue produzioni. Se la scomparsa misteriosa e insoluta di "About Elly" esprimeva un senso immanente di caducità della vita della persona umana al tempo del regime, congelato e mai nominato apertamente, "A separation" è un affresco integrale e mai manipolatorio di "volontà" umana e sua negazione, di menzogna come chiave di salvezza, di limiti esterni all'esigenza di verità, di scelte condizionanti e irrevocabili. Piuttosto complesso e limitante per il contenuto sostanziale di così ampio respiro, "Una separazione" è una pellicola sull'incidenza dell'esterno sull'interno, ovvero sulla forma autoritaria che, in ogni ambito, dalla burocrazia, alla legge, alla religione (laddove accade che addirittura si identifichino) al sistema famigliare patriarcale, impone a chi ne è parte di conformarsi e di soggiacere senza forza volontaristica, ma come parte integrante di un dato culturale immutabile. Farhadi non si limita a far intravedere la spirale di condizionamento della società iraniana, ma guarda alla società in sè E il confine, ancora una volta, come nel precedente film, tra orientale e occidentale diventa labile. E se c'è una modernità apparente e forse non troppo nota allo spettatore nel dittatoriale Iran, tanto più c'è un regresso autoritario nelle democrazie occidentali. La chiave di svolta sta in questa assunzione che non impedisce la critica al regime, ma non accetta lezioni esterne. La contraddizione è ovunque. E Farhadi nel distruggere il sistema di riferimento del suo paese d'origine, fa emergere, in modo antitetico, gli stessi limiti imposti, in modo diverso ma non meno cogente, all'individuo occidentale ed "evoluto".




E' un film lungo, forse molto borghese, se paragonato al senso di smarrimento della precedente pellicola, "About Elly". Ma sotto un dramma che intercetta la vita di due diversi famiglie (una sul punto di un divorzio con figlia da contendersi, l'altra con moglie lavoratrice, nonostante la gravidanza, unico sostegno verso un marito instabile) c'è un'attenta ricostruzione del funzionamento sociale in sè, di quali limiti ed inconvenienti possono scaturire dalla mancanza di chiarezza, dalla imposizione fine a sè stessa da parte dell'esterno, dal condizionamento. In "Una separazione" spesso compare la figura, in campo o fuori campo (come nell'inquadratura iniziale) di un giudice, un inquirente, un uomo chiamato a ristabilire un'idea accettabile di verità, che spesso è antitesi della stessa. Dal divorzio dei due coniugi benestanti ed "evoluti" all'abbandono dell'anziano sofferente e traumatizzato da parte della donna incinta che doveva vigilarlo, dalla perdita del bambino della stessa dopo una rovinosa caduta causata apparentemente dalla furia del datore di lavoro in questione all'affido della figlia adolescente costretta alla scelta tra i due coniugi separati. Queste diverse situazioni personali si combinano tra loro in modo esplicito e arrivano allo scontro paradossale. Ogni pedina dell'intreccio non può essere considerata come libera a priori dal condizionamento esterno. Ed è così che la religione influenza le scelte della donna incinta, la condizione economica precaria quelle del marito depresso e in cerca di una giustizia dopo anni di soprusi, la separazione tra i due coniugi e l'atteggiamento dimesso della figlia il loro porsi di fronte alle conseguenze legali degli accadimenti multipli. E' come se non vi fosse libertà nel dichiarare la Verità. Tutti sono costretti, in un modo o nell'altro, alla menzogna, all'occultamento, alla bugia. Chi non è parte del sistema o è troppo vecchio e gravemente malato (il padre) o troppo ingenuo e idealista (la figlia è una splendida incarnazione di un'ideale arabo di cambiamento possibile). Per il resto tutti mentono per preservare sè stessi da una condizione infelice. Ma sotto questo scontro apparente si nasconde un altro scontro, quello sociale, quello che vede i borghesi contro le classi basse. Ed il condizionamento è addirittura di natura  ancestrale, molto affine al modello occidentale. Ma Farhadi non cerca la facilissima identificazione manichea, anzi sottolinea come la Verità portata a galla dai protagonisti, seppur lontanissima dalla Verità assoluta, è l'unica possibile, l'unica che possa preservare la loro situazione individuale, i rapporti umani e di affetto interpersonale. In questo senso, la menzogna è giustificata ma mai arbitraria o crudele. E' soltanto l'adeguamento dell'uomo alla condizione esterna, magari non occultando le proprie convinzioni interne, giuste o sbagliate che siano, a loro volta introiettate dall'esterno. E questo limite non è solo dell'Iran di oggi, ma dell'intera civiltà, prescidendo dalla definizione territoriale. Il rapporto modernità/tradizione, il concetto di autorità, i limiti alla libertà personale fanno parte di bagagli comuni, spesso significativamente divisi, ma affini nell'impostazione stessa del funzionamento del mondo sociale in cui viviamo. "Una separazione" è un film che però mostra anche come siano stringenti e contraddittori gli strumenti di preservazione della struttura sociale iraniana. C'è un retaggio basilare che pone la donna in una situazione di inferiorità manifesta e che, d'altro canto, garantisce ai facoltosi la possibilità di una giustizia favorevole in contrasto con chi si trova in una condizione economica instabile. Mostra come l'avvertimento esterno, la minaccia (da parte del marito della gestante all'insegnante testimone "dubbia") abbia presa immediata su chi lo subisce. Ed evidenzia come sia tutto così labile, così perentorio, così poco clemente tanto che alla fine l'ultima "mancata promessa" è della moglie separata proto-femminista nei confronti della donna dimessa e ultra-tradizionalista per difendere l'ex-coniuge e preservare la pace famigliare che va oltre l'ideologia, la giustizia, la solidarietà. Questa è la conclusione di Farhadi. A ben guardare, anche la nostra prospettiva si avvicina allo stesso paradigma ed usa strumenti diversi ma speculari per conservarlo inalterato. Anche a cospetto di arbitri esterni chiamati ad accettare o meno la nostra Verità relativa. Film sottilissimo, interpretato magnificamente, da vedere. Un must assoluto dell'anno.




Commenti

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