Review 2011 - Submarine




Piledriver Waltz (ALEX TURNER)
 If you’re gonna try and walk on water make sure you wear your comfortable shoes. 












"Submarine" è un atipico "coming of age" di una generazione perduta e ritrovata. Finisce e comincia da "Harold & Maude", ma si incammina verso un sentiero più normalizzante, per quanto caustico, umorale, cinico e spiazzante. Assistiamo alla parabola senza fine di Oliver Tate, reincarnazione pseudo-moderna di Harold, ma i percorsi si fanno speculari e al senso di inettitudine come rifiuto del mondo da parte del vecchio adolescente, subentra la normale anormalità del nuovo protagonista, un "eroe" dello spicchio di terra in cui vive, un ex-perdente ora divenuto un  neo-vincente. Contrappasso dei tempi moderni, finissimo lavoro di psicologia del "contrario".




Prendete "Harold & Maude", 1971, regia di Hal Ashby, protagonisti Bud Cort e Ruth Gordon, coppia "scandalo", ragazzino e anziana, amore puro. Per forza maggiore, rendete Maude e il suo anticonformismo un miraggio, cancellatelo con garbo, o meglio fatene un ricordo lontanissimo, un rilievo intertestuale possibile ma non obbligatorio. La storicità di quel personaggio che porta segni indelebili sulle braccia sarebbe stata fuori luogo. Lasciate Harold, il ragazzino, privatelo della carica grottesca (immaginerà il suo funerale come incipit di raccordo, ma sarà ben lungi dall'inscenare il suicidio) e fatene il fulcro di una nuova avventura, magari duplice, triplice. E ora il remake può avere luogo. In quest'ottica molti avrebbero una percezione negativa circa l'esito, soprattutto con il gigante antenato a fare da contraltare, deterrente e giu di lì. Invece no. "Submarine" funziona perchè "reinterpreta" forma e contenuto, atmosfera e sottotesto, affrancandosi del tutto, tanto che più che un rimando implica un omaggio e soprattutto un'attualizzazione. Chi è Jill Tate se non una Mrs. Chasen più diretta, più esplicita, ma altrettanto apprensiva ed oppressiva? La ricostruzione è anche scenografica, con oggetti "alternativi" che avrebbero potuto far parte del camper di Maude. Ma ciò che distanzia il film dal corrispettivo è il personaggio principe, Oliver, analizzato e portato sullo schermo come il simbolo di un'inettitudine positiva, non più ai margini, ma dentro una società, che sia essa scolastica, affettiva, famigliare. Nuovi temi e personaggi vengono fuori; dal bullismo subito o arrecato, alla passione amorosa provata e ricambiata per una paffuta ragazzina che di nome fa Jordana (titolo di uno dei segmenti narrativi che costituiscono l'ossatura del film), dall'autoanalisi del protagonista nei confronti degli adulti, con un intervento necessario per arginare la leadership mistica esterna (di un personaggio secondario, Graham Purvis) nel cuore della madre,  fino alla malattia grave. In questa esplosione narrativa, nulla viene lasciato al caso, tantomeno il peso delle inquadrature-poetiche che diventano un paradigma di riferimento molto più forte che in"Harold & Maude", tanto da costituire un tratto chiave per la lettura. Richard Ayoade, a differenza di Hal Ashby, non aspira ad una classicità storica da cinema narrativo, ma rende la narrazione funzionale al suo discorso formale, con un montaggio accorto, l'uso di flashbacks introspettivi, il fermo-immagine e una varietà stilistica perfetta per colpire l'immaginario delle nuove generazioni, non dimenticandosi di sostituire il Cat Stevens ispirato della pellicola di riferimento, con un altrettanto notevole Alex Turner, che crea composizioni retrò memorabili ( sei le canzoni in pausa dagli Arctic Monkeys). E' la rivoluzione formale l'asso nella manica, senza dimenticare la capillare definizione dei caratteri dei personaggi, grazie ad un parterre notevole ( i giovani Craig Roberts e Yasmin Paige, i veterani Paddy Considine e Sally Hawkins, il sottovalutato Noah Taylor), ma anche ad un lavoro altrettanto preciso di identificazione esterna nel design del guardaroba, in mano a Charlotte Walter. Insomma la visione è obbligata.

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