Review - L'amore e altri luoghi impossibili






"L'amore e altri luoghi impossibili", trasmesso la scorsa stagione estiva sulla tv commerciale in Italia ed approdato solo dopo il fenomeno "Black Swan" in sala negli Stati Uniti, è un melò forzato e privo di una logica interna in cui la sceneggiatura si dispiega tra lampi assoluti di stupidità ed epifanie rivelatrici di psicologia da quattro soldi, affiancandosi a momenti fini a sè stessi di forza drammatica. Girandola di luoghi comuni, addossati l'uno sull'altro seguendo una logica da soap, è un'opera imbarazzante, che nemmeno il cast riesce a risollevare. Natalie Portman, Oscar quest'anno per "Il Cigno Nero", non è l'anello forte e, in pendant con l'altro flop qualitativo della stagione firmato da Ivan Reitman, in cui è sulla scena con un Kutcher qualunque, fa intendere che la sua è stata una parentesi isolata e che la sua personalità dipende completamente dalle mani del regista che la forgia a suo piacimento. Film diretto da un insipido (e con una carriera di sceneggiatore e director alquanto contraddittoria) Dan Roos, che non riesce a spiccare il volo, è una risposta forzata, eccessiva all'intenso "Rabbit Hole" di Mitchell, ma tra i due la comparazione è più che inutile. Se "Rabbit Hole" era un'opera rigorosa e capace di unire ad una forma asciutta la rappresentazione più densa del dramma della perdita, "L'amore e altri luoghi possibili" è una pellicola da pomeriggio televisivo, strutturata seguendo stereotipi facili, con una serie di vuoti dialogici da far paura e un'atmosfera mutevole che punta tutto sull'effetto "sorpresa", sciogliendo le nuove situazioni con una facilità risibile. Il cast, composto anche da Lisa Kudrow, Lauren Ambrose, Debra Monk e Scott Cohen , non regge il peso d'urto dell'inverosimiglianza e, come per la Portman, le interpretazioni si propagano nell'aria come bolle di sapone, destinate ad una fine più o meno immediata.

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