Review 2011- Waste Land









Candidato all'Oscar 2011 come Miglior Documentario, Waste Land è sanguigno inno alle proprie origini, in un mondo utopico e reale insieme in cui le brutture sono lavate del loro sporco dalla superiorità indiscussa/indiscutibile dell'arte.


8,5 su 10

"Waste Land" non è un lavoro semplice o complesso, è un'opera emotivamente forte, in bilico costante tra la realtà di una discarica ai bordi di San Paolo, in un quartiere povero come Jardim Gramacho, e il sogno di un futuro migliore/diverso sotto i propri occhi. E' un documentario-sociale, ma attenti, non vi è un'ideologia politica che regge la narrazione, bensì uno sguardo ispirato e "savio", quello di Vic Muniz, artista contemporaneo affermato, di origini sudamericane, che porta la sua storia sullo schermo come "possibilità", alimentando la speranza di chi vive nelle bidonvilles periferiche. Il carattere sociale dell'opera non è di tipo militante, ma funziona come monito dall'esterno, come aiuto senza eccessi di pietismo, come racconto, come utopica realizzazione (e l'ossimoro è forse la figura retorica chiave per intendere l'intero lavoro, evidente anche nella formalità del documentario).Non a caso, il primo obiettivo della macchina da presa è osservare da vicino, senza giudizi, il mondo dei "pickers", dei "raccoglitori", di coloro che da una vita portano avanti il "riciclo" diretto delle sostanze/rifiuto che si ammassano su montagne alte e invalicabili, da mattina a sera. Il primo accorgimento è quindi restituire dignità a chi viene additato, deriso, etichettato come barbone, ultimo degli ultimi, senza dignità. E la dignità, anche fiera, compare, in un attimo, nelle pupille dei giovani e dei vecchi che si sono trovati a lavorare sul posto. Una serie di scatti montati successivamente apre la vista sulla dimensione abnorme di una discarica a cielo aperto che sembra una città rasa al suolo, con pochi resti, come se fosse passata una guerra e un missile non abbia lasciato che detriti multiformi. La componente utopica è rappresentata dall'arte, il cui spirito, riesce ad infondere il sorriso laddove vi è il pianto. Muniz ancora profondamente il bello della concezione artistica classica allo "squallido" del rifiuto e trova la sua linea di interpretazione della realtà con una sintesi, notevolissima e attuale, di classicità e rifiuto riciclato, in cui la materia non si perde nel vuoto splendido della natura ma ritorna ad essere materia, così come le opere/fotogrammi di altri autori tornano ad essere vive in un mondo agli antipodi, lontano secoli e chilometri (si pensi alla "Morte di Marat" di David fotografata e trasformata in materiale vivo di grande dimensione). In questo modo, attraverso la cooperazione con i "pickers" del posto, che mostrano viso, storia, anima dinanzi agli occhi di uomini alla mano, lo spirito dell'arte pervade il luogo, lo cambia, mantenendo intatta la forza di vita che vi dimora da sè. L'arte è la metafora della salvezza e anche la manifestazione di quella possibilità capace di mutare la materia informe in opera e l'opera in moneta, capace di mutare la sofferenza in sorriso e di far nascere la speranza in un mondo di bruttura. Lode alla regia a più mani di Karen Harley, Lucy Walker e João Jardim. "Waste Land" è la terra dell'utopia fatta realtà.

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